Segue dalla Parte I

In questa pagina parliamo di: Dino Olivetti, Mario Caglieris, Marisa Bellisario, Francesco Novara, Lionello Cantoni, Umberto Pelà, Marcello Ceccoli e Mario Becchi.


Dino Olivetti, un protagonista sconosciuto
Inviato da Giuseppe Silmo

Dino nasce nel luglio del 1912 nel Convento di San Bernardino a Ivrea, ultimo dei sei figli di Camillo Olivetti e Luisa Olivetti Revel. Suo fratello Adriano era nato nel 1901.
La sua figura è rimasta nell’ombra del fratello maggiore e la pubblicistica agiografica olivettiana, tutta proiettata sulle figure di Camillo e Adriano, l’ha praticamente trascurata. È ora che, pur con grande ritardo, Dino Olivetti ritrovi la sua giusta collocazione nell’ambito della storia della Olivetti.
La sua avventura personale inizia in maniera tutt’altro che convenzionale. Dopo la laurea al Politecnico di Torino è chiamato a fare il sevizio militare e partecipa alla campagna d’Africa. Nel viaggio di ritorno, senza passare per Ivrea, s’imbarca direttamente da Napoli per Boston dove otterrà un Phd al Massachusetts Institute of Technology in Ingegneria meccanica.
Nel 1940 sposa Rosemond Castle e si trasferisce in Brasile per occuparsi della fabbrica Olivetti di San Paolo. Dall’unione con Rosemond nascono Davide, Alfredo, Philip. Nel 1941, durante un viaggio dal Brasile agli Stati Uniti, viene catturato dalle forze alleate e condotto in un campo di prigionia a Trinidad. Alla fine dell’anno Dino rientra negli Stati Uniti, a Kansas City, Missouri, e lavora alla North American Aviation.
Alla fine della guerra rientra ad Ivrea dove, al fianco del fratello Adriano, lavora come Direttore Tecnico della Olivetti. Nei primi anni Cinquanta torna nuovamente negli Stati Uniti e si stabilisce a New Canaan dove avvia la Olivetti Corporation of America di cui ricopre la carica di Presidente.
E’ qui che la figura di Dino assume un ruolo determinante per il futuro della Olivetti. Ruolo fin’ora poco conosciuto e comunque sottovalutato.
Grazie all’esperienza maturata negli Stati Uniti e in particolare ai contatti maturati durante i suoi studi al Massachusetts Institute of Technology di Boston, Dino si rende perfettamente conto che il futuro della Olivetti non può essere disgiunto dall’elettronica.
Convinto di questo, nel 1952, convince il fratello Adriano ad aprire un laboratorio di elettronica negli Stati Uniti. La località prescelta è New Canaan. L’ing. Mario Canepa, prescelto per dirigere il centro, così ci racconta in una recente intervista il perché di questa scelta: “Lui [l’ing. Dino] abitava a New Canaan e commutava [faceva il pendolare] giornalmente tra New Canaan e New York, voleva che il laboratorio fosse vicino a casa sua in modo che potesse venirci a vedere ed essere presente in tutti i lavori che facevamo e darci le direttive ed essere lui praticamente al comando. Quindi decise che il posto di lavoro doveva essere New Canaan e affittò una stanza in un edificio vicino alla stazione ferroviaria”.
Sul laboratorio di New Canaan ci sono state valutazioni diverse. Soprattutto da parte olivettiana, per lo più viene ridotto a un osservatorio tecnologico. Solo di recente lo storico dell’informatica italiana Corrado Bonfanti scrive: “Il laboratorio di New Canaan, a lungo considerato un semplice «osservatorio tecnologico», aveva in realtà sviluppato alcune tecnologie interessanti pur senza conseguire alcun risultato significativo in termini di mercato”. Finalmente il muro di silenzio si è squarciato.  Anche qui però a Bonfanti mancano fonti dirette, si limita a constatare che la memoria di massa del primo calcolatore scientifico italiano la CEP (Calcolatrie Elettronica Pisana), a cui la Olivetti partecipa allo sviluppo, cioè uno dei componenti più importanti del calcolatore, è stata progettata e prodotta a New Canaan.
Sono orgoglioso di aver contribuito con il mio libro Olivetti e l’elettronica a riscrivere questa storia, soprattutto grazie all’intervista che Matteo Olivetti ha fatto in California a Michele Canepa. La storia non può essere riassunta in un articolo, ma il contributo di New Canaan è stato molto più ampio e più importante di quanto finora conosciuto. Anche dal punto di vista commerciale sono stati realizzati alcuni prodotti assolutamente innovativi per il mercato americano e soprattutto c’è stato, al momento della chiusura del centro, nel dicembre 1960, un travaso di tecnologie di assoluta avanguardia in quella che poi diventerà, nel 1962, la Divisione Elettronica della Olivetti.
Devo rendere atto all’Archivio Storico Olivetti, che nel suo sito http://www.storiaolivetti.it, sezione tecnologia, ha preso in considerazione quanto riportato nel mio libro, per cui ora questa pagina di storia ha trovato anche una sua validazione istituzionale.
Il motore di tutto questo è stato Dino, al quale non vanno solo ascritti i successi di New Canaan, ma soprattutto di aver portato Adriano a iniziare in termini operativi il cammino verso l’elettronica.
Nel 1958 Dino torna di nuovo stabilmente ad Ivrea. Tra il 1964 e il 1968 è Presidente dell’Arco Spa, fabbrica di componenti elettromeccanici.
Nel 1967 torna all’elettronica, e insieme con altri soci di minoranza, coglie l’occasione dei finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno per costituire una nuova società, la DOSPA (Dino Olivetti SpA). La nuova società costruisce un moderno stabilimento ad Aprilia per la produzione di apparati elettronici d’avanguardia destinati a nicchie di mercato con esigenze di funzionamento molto spinte, dotati di notevole potenza e affidabilità. In DOPSA avvengono, tra l’altro, le prime sperimentazioni sui circuiti ibridi. Nella composizione del personale va segnalato un gruppo di transfughi di eccellenza della ex Divisione Elettronica Olivetti ceduta forzosamente, nel 1964, agli americani della General Electric, che decisero di seguire Dino in questa nuova avventura nell’elettronica. Tra essi Remo Galletti e Sergio Sibani, pionieri dell’avventura elettronica Olivetti con la CEP a Pisa e poi con l’Olivetti Elea 9003, il primo calcolatore al mondo interamente a transistor, a Barbaricina.
Altri di quei pionieri, tra cui Piergiorgio Perotto, inventore e progettista della Programma 101, e Giorgio Sacerdoti, che a Barbaricina ha impostato la logica dell’Elea 9003, tornano invece in Olivetti, costituendo quel nucleo di conoscenze su cui l’Azienda costruisce il ritorno all’elettronica dopo la forzata interruzione del 1964.
Dino muore, per un infarto, nel 1976, e i più se ne sono dimenticati, ma senza di lui la nostra storia forse sarebbe stata diversa.


Mario Caglieris, un olivettiano convinto
Inviato da Giuseppe Silmo

Mario Caglieris ci ha lasciati la notte di Natale del 2010. Era un uomo buono. Il suo colloquio era naturale con le persone di qualsiasi ceto; anzi, i suoi interlocutori preferiti erano i più umili, non rifiutava mai l’aiuto a chi glielo chiedeva.
Uomo di fiducia, pur in diversi ruoli, di tre Presidenti (Adriano Olivetti, Bruno Visentini, Carlo De Benedetti) è stato sopratutto, attraverso i lunghi anni ai più alti vertici aziendali, il propugnatore e il difensore del modello di impresa concepito da Adriano.
A proposito del lascito morale e culturale di quella Olivetti, così scriveva negli anni a noi più vicini: “Ci restava il sogno e con es­so il bagaglio d’insegnamenti che si compendiavano in quel­la che divenne per noi una specie di religione della fab­brica, la quale ci chiedeva di non desistere e di continuare ad operare per non disperde­re quell’insieme di valori che, anche in assenza di un proget­to organico, avrebbero con­traddistinto lo stile Olivetti. Ci siamo posti umilmente al servizio di questa religio­ne, come per un dovere, e mantenendo sempre una asso­luta indipendenza e libertà di giudizio nei confronti del po­tere aziendale per la forza che ci proveniva dalla nostra storia, siamo riusciti a mante­nere l’identità olivettiana per molti anni, fino a quando insufficienze manageriali e di­vagazioni finanziarie non cau­sarono ciò che tutti sappiamo”.
In questi pensieri si riassume gran parte di quello che è stato Mario Caglieris in Azienda e di quello che ha rappresentato per lunghi anni la sua Presidenza delle Spille d’Oro, dove ha continuato ad adoperarsi perché il “Modello Olivetti” potesse continuare ad essere proposto.
Difensore quindi degli ideali olivettiani, ma soprattutto uomo di grande integrità morale e buon senso e, per queste sue caratteristiche, punto di riferimento della dirigenza, come quando, alla vigilia della prospettata vendita alla AT&T della Olivetti, scrisse, a nome appunto della dirigenza, con professionalità e diplomazia, ma con grande franchezza, pur nel rispetto dei rispettivi ruoli, una lettera al Presidente Carlo de Benedetti, che cambiò una decisione forse già presa.
Nato a Savigliano nel 1927 – il padre era un socialista, rappresentante di spicco del sindacato ferrovieri e, per questo, licenziato nel 1923 dopo gli scioperi di cui era stato il promotore – nonostante le precarie condizioni economiche della famiglia, consegue la maturità al liceo classico locale con il massimo dei voti.
In IV ginnasio (1942-43) così scrive di se stesso in un tema, intitolato “Il mio ritratto”: “Di modeste origini, frequento un ambiente superiore al mio, al quale mi sento irresistibilmente attratto e in cui voglio assolutamente rimanere non però in condizione indecorosa o quasi clientelesca, ma in parità se non in prevalenza, la quale di certo mi deriverà dalla ferma volontà di cui sempre faccio sfoggio e dalle mie fatiche”.
Questa visione del futuro lo porterà ai massimi vertici aziendali della Olivetti, dove entrerà nel 1956 dopo un’esperienza nell’industria biellese, assumendo quasi subito la responsabilità amministrativa dell’Istituto Italiano Centri Comunitari a diretto riporto di Adriano Olivetti.
La sua carriera è in continua ascesa. Dirigente nel 1963, partecipa per la Olivetti, nel 1964, alle trattative per l’ingresso in Azienda del “Gruppo d’Intervento”. In tale occasione conosce Cuccia, il quale lo onorerà della sua stima e considerazione che non mancherà di manifestargli in più occasioni.
Ricopre incarichi sempre più importanti nel settore amministrativo fino ad essere nominato,nel 1972, Direttore Amministrazione, Controllo e Organizzazione del Gruppo. Nel 1980 assume la Direzione del Personale del Gruppo e nel 1986 l’incarico di Direttore delle Relazioni Manageriali, che conserva fino alle sue dimissioni il 3 aprile 1991, in aperta opposizione al piano aziendale che “prevedeva l’allontanamento di settemila persone, di cui quattromila in Italia, concentrate soprattutto nel Canavese”, come lui stesso scrive nel suo libro “Olivetti, addio”. “Desideravo”, aggiunge, “essere il primo dei settemila a lasciare l’Azienda e per iniziativa personale”. Questo era Mario Caglieris.


Mario Caglieris, l’uomo più importante ne miei 44 anni di Olivetti
commento inviato da Giancarlo De Franciscis

Sono stato il suo capo del personale di fiducia ai tempi della Direzione Centrale Amministrazione, Finanza e Controllo (io coprivo gli Enti a Livello Aziendale, cioè l’Headquarter di Olivetti). Dopo la rottura con il Personale di Gruppo, in cui non mi riconoscevo più da anni (ero giovane e molto rigido, non accettai di mancare alla parola data ai dipendenti in occasione della creazione delle “isole” inventate da Federico Butera) mi convocò per dirmi “Ragazzo mio, so che non se la dice coi suoi capi, allora parli con il mio capo del personale e si trovi un posto da me”.
“Signor Caglieris, ma sono io il suo capo del personale”
“Appunto, si scelga il posto”
Per uno rimosso d’autorità e quasi licenziato, fu la salvezza offerta da un grande dirigente ad un ragazzo carico di ideali frustrati dalla realpolitik ormai imperante.
Dopo sei anni, quando mi ero ormai riciclato come Direttore delle Relazioni Estere, mi chiamò come Direttore dei Rapporti Manageriali per dirmi “Ragazzo mio, le diranno ancora di tutto, come anni fa, ma come allora le confermo la mia stima e le mie congratulazioni per la nomina a dirigente”.
Mi scuso per la prolissa rievocazione, ma avevo un debito di riconoscenza verso un uomo buono e grande manager, l’ultimo grande erede della visione di Adriano.


Marisa Bellisario
inviato da Gianni Di Quattro

È arrivata a Milano da Torino dove si era laureata, anzi dal suo paese che era Ceva in provincia di Cuneo, era stata assunta dalla Olivetti, Divisione Elettronica. Bionda, carina, sorridente, con tanta voglia di fare, ma anche, ci siamo subito accorti, con un caratterino bello tosto. Era una persona onesta, rispettava tutti e soprattutto rispettava gli impegni, nella vita e nel lavoro. Dopo esperienze nell’area del software e degli avviamenti impianti presso clienti, dopo avere dimostrato che ogni suo intervento si rivelava risolutivo, fu incaricata di occuparsi di product planning, di pianificazione delle attività. In questo ruolo dimostrò un grande talento, apprezzato dal top management e dagli azionisti, prima gli americani della General Electric e poi quelli della Honeywell.
Intanto nella sua vita privata Marisa si era sposata con Lionello Cantoni, conosciuto appena arrivata a Milano. Era una persona curiosa, con la voglia di vita, capace di relazioni a qualsiasi livello, piena di idee. Era anche molto severa prima di tutto con se stessa e con tutti e nello stesso tempo molto generosa e attenta.
Quando Ottorino Beltrami che era diventato amministratore delegato Olivetti la chiamò alla Olivetti, accettò con entusiasmo e per alcuni anni giocò un ruolo importante. Grazie a lei si deve in pochi anni la trasformazione dell’azienda da meccanica in elettronica recuperando i ritardi passati, a lei si deve anche una riforma dei rapporti economici tra Ivrea e le consociate. Marisa Bellisario in Olivetti significò una ventata di aria nuova, di professionalità, di coraggio e di capacità organizzativa.
L’arrivo dei Carlo De Benedetti cambiò il ruolo di Marisa., forse anche per suggerimento dell’apparato eporediese tramite Visentini, forse perché bisognava trovare un ruolo al fratello del nuovo padrone, a Franco Debenedetti. Comunque, Bellisario venne allontanata da Ivrea, spedita in America e dopo messa in condizione di andarsene. Cosa che lei fece   diventando in breve amministratore delegato di Italtel e giocando un ruolo importante nell’area delle telecomunicazioni del paese. La sua proposta di creare un’azienda fondendo Italtel e Telettra, che era di proprietà Fiat, avrebbe dato un ruolo importante al nostro paese nel settore e l’operazione non andò in porto per l’opposizione di Romiti, allora amministratore delegato Fiat, perché al posto di Marisa voleva un suo uomo. E poi non pensava che una donna potesse guidare questa operazione.
Marisa Bellisario è stata un esempio anche per il paese, da anni funziona intestata a lei una Fondazione che promuove le donne manager, nel suo nome ci sono stati e ci sono dibattiti per dimostrare che una donna quando brava e soprattutto piena di volontà può arrivare a qualsiasi posizione scavalcando ogni pregiudizio. Il suo nome, Marisa Bellisario, è stato importante per la Olivetti, per l’industria informatica del paese, per le aziende per le quali ha lavorato, per il paese perché è stato uno dei primi esempi in cui una donna ha raggiunto con grande merito posizioni manageriali prima quasi sempre riservate agli uomini. I tempi di oggi, anche se sono passati tanti anni dalla sua prematura scomparsa, stanno dimostrando quanto sia stata importante la sua presenza e il suo percorso.


Francesco Novara, lo psicologo olivettiano
di Giuseppe Silmo

È con un senso di un discorso interrotto che scrivo queste righe. L’ultima volta che ho visto Francesco Novara è stato in occasione del Convegno organizzato nel 2008, centenario della Olivetti, dalla Diocesi di Ivrea: Olivetti è ancora una sfida, che ha avuto luogo simbolicamente nel Salone dei 2000. A quel convegno ovviamente non poteva mancare, come non mancava quasi mai ai convegni, che trattassero le tematiche olivettiane. Durante la pausa di mezzogiorno Francesco Novara si è intrattenuto a discutere con Cornelia Lombardo, discussione a cui mi sono poi unito, passeggiando lungo l’edificio dei Servizi Sociali. Si è discusso sugli interventi della mattinata e sull’esito della vicenda Olivetti. È stato un bel discutere e un piacere sentire le sue opinioni espresse sempre con pacatezza, affabilità e grande conoscenza. Era il 27 settembre, nulla apparentemente lasciava pensare a una fine così rapida. È mancato, infatti, nella sua Torino, dove era nato 10 maggio 1923, il 23 gennaio 2009.
Pur avendo ben chiari la sua posizione e l’importante ruolo che svolgeva in azienda, ho incominciato a apprezzarlo veramente solo tardi, grazie all’opera, di cui lui è stato l’anima e il promotore: Uomini e lavoro alla Olivetti. Credo un’opera fondamentale per conoscere la Olivetti non solo da un punto di vista storico, ma da quello dei protagonisti, che a diverso titolo e a diverso livello, vi hanno lavorato. Il tutto racchiuso dal testo dello stesso Novara e di Renato Rozzi, in cui viene data una visione storica della vicenda Olivetti proprio alla luce dei messaggi che provengono dalle interviste, che sono essi stessi storia e forniscono una chiave di lettura dell’avventura olivettiana. Un lavoro che solo uno studioso di scienze umane come Novara poteva fare.
Gli avevo inviato per e-mail, su invito di Roberta Garuccio, co-autrice e intervistatrice di Uomini e Lavoro, l’articolo che avevo scritto sul <<Notiziario delle Spille d’Oro>>: Il cambiamento e la scomparsa di una grande Azienda, e mi aveva così risposto: “ho stampato il suo scritto, testimonianza preziosa che conferma quelle raccolte in quel nostro libro, e che farò leggere a chi si pone la domanda alla quale lei contribuisce a rispondere con efficace, sintetica e toccante efficacia”. Testo che riporto perchè è una testimonianza dell’uomo, della sua cordialità, del suo calore umano e del suo pensiero sui fatti che ci hanno visti coinvolti.
Francesco Novara era allievo di Cesare Musatti, fondatore della psicoanalisi italiana e iniziatore del Centro di Psicologia della Olivetti. Seguendo le orme del maestro, con cui collabora a lungo, nel 1974 assume la Direzione del Centro di Psicologia presso cui lavora dal 1955. Con Musatti e altri psicologi del Centro scrive: Psicologi in fabbrica (la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti). Il Centro ha avuto, infatti, un importante ruolo nell’organizzazione del lavoro in Olivetti, secondo l’idea prima di Camillo e poi di Adriano, che vede l’uomo al centro del processo produttivo. Francesco Novara ne è stato un fedele interprete.


Lionello Cantoni
inviato da Gianni Di Quattro

Un marchigiano legato alla sua terra, alla sua cucina e alla dolcezza delle sue colline, al modo di interpretare la vita come se la goliardia non avesse mai fine. Era anche uno scienziato, aveva fatto la Normale, aveva la voglia di ricercare, di affrontare le nuove discipline legate alla matematica. Era entrato in Olivetti prima alla Olivetti Bull e poi alla Divisione Elettronica e si occupava di tutto ciò che gli altri non capivano, incluso i clienti. Dunque: la ricerca operativa, la geometria analitica e descrittiva che insegnò pure prima a Milano al Politecnico e poi a Torino, ma in genere supportava l’organizzazione quando bisognava fare qualche studio avanzato sui sistemi di produzione, su quelli di magazzino, su strutture complicate in generale. Scriveva anche libri e faceva conferenze.
Aveva un rapporto molto amichevole, cordiale e generoso con i collaboratori che lo amavano tutti, era tuttavia anche permaloso. Era sempre un amico con chi gli dimostrava amicizia, amava scherzare, era pieno di una grande umanità. Forse quella che convinse Marisa Bellisario a innamorarsi di lui e poi a sposarlo.
Dopo anni alla Divisione Elettronica ormai Honeywell, passò alla Olivetti, prima con il Marketing Centrale di Elserino Piol, occupandosi della Programma 101, allora nella primissima fase di lancio. Poi Roberto Olivetti, quando era amministratore delegato, gli affidò la Direzione dei Sistemi Informativi interni, un lavoro che fece brillantemente con molta innovazione e rinnovando completamente i collaboratori del settore. Furono cambiate macchine, avviati nuovi progetti, attuati coordinamenti anche con le consociate estere, rilanciato insomma tutto il settore anche all’esterno dell’azienda.
Lasciò la Olivetti più o meno nello stesso periodo in cui sua moglie, Marisa Bellisario, vi entrava assumendo la responsabilità del Product Planning, del Business Planning e del Market Planning. Passò alla Fiat Auto assumendo la Direzione dei Sistemi Informativi dell’azienda. Poi continuò ad insegnare quasi sino alla sua fine.
Lionello Cantoni, al di là degli importanti incarichi ricoperti e al di là dei brillanti risultati raggiunti sempre, è stato un personaggio molto intelligente, brillante, anche bizzarro che ha attraversato la Olivetti. Un personaggio che ai tempi era difficile immaginare in una azienda che non fosse la Olivetti, l’unica del panorama industriale dove poteva convivere la genialità con la bizzarria.


Umberto Pelà
inviato da Gianni Di Quattro

Un uomo di rara intelligenza e di rara prudenza, sempre dibattuto dal volere andare oltre come la sua intelligenza suggeriva e la paura di non spingersi troppo. Una cultura matematica, una saggezza napoletana mischiata al pragmatismo milanese, la sua natura era di grande generosità, tuttavia, frenata da una diffidenza verso tutto che non lo abbandonava mai. Capace di capire una situazione, una persona come pochi e in modo molto veloce. Infine, una intelligenza che lo spingeva a ironizzare, a cogliere sempre gli aspetti più strani di qualsiasi cosa.
In Olivetti fu un importante protagonista nel mondo commerciale, fu direttore di filiale, di divisione, di tutto il settore italiano. Aveva molte intuizioni, capace di grandi analisi e di spunti cui altri non arrivavano, si occupò anche di prodotti innovativi rispetto alla tradizione aziendale come le macchine contabili e poi estese alla meccanizzazione integrale, prima proposta sistemistica dell’azienda sul mercato.
Ebbe sempre successo e aveva ottimi rapporti con molti importanti clienti che lo consideravano affascinante e apprezzavano la sua grande umanità.
In una delle travolgenti riorganizzazioni aziendali degli ultimi tempi, fu incaricato di seguire alcune consociate europee. Gli costò questa decisione aziendale, perché lo toglieva da quello che lui aveva costruito e in cui si era manifestato, lo portava a viaggiare molto e lui era molto affezionato e legato alla sua numerosa famiglia, lo metteva a contatto con personaggi che la sua intelligenza lo portava a non stimare, ma che non poteva cambiare. Fu un periodo faticoso per lui anche se svolto con la sua solita permalosità e grande attenzione.
Quando capì che la Olivetti non era più la sua, l’azienda in cui era cresciuto e che aveva contribuito a far crescere, lasciò per intraprendere una sua attività con un suo grande amico e a sua volta grande personaggio Olivetti e cioè Marcello Ceccoli.


Marcello Ceccoli
inviato da Gianni Di Quattro

Un gentiluomo napoletano di grande stile, cultura, umanità e intelligenza. Uno dei personaggi più importanti che hanno attraversato il settore commerciale della Olivetti. A lui sono state affidate lo sviluppo delle operazioni più delicate, più avanzate e più innovative. È stato il primo organizzatore e amministratore di Olivetti Bull, quando l’azienda decise, parallelamente agli investimenti nello sviluppo degli elaboratori elettronici affidati a Mario Tchou, di creare una iniziativa italiana per commercializzare le macchine a schede perforate e i sistemi della Bull francese, allora una dei più importanti operatori del settore. Una iniziativa per creare una struttura commerciale, tecnica e di assistenza, per formare persone da utilizzare nella organizzazione Olivetti in generale, per occupare il mercato, per acquisire esperienze oltre l’organizzazione dell’ufficio e  più precisamente nella automazione dell’impresa. Lasciò la Olivetti Bull a Ottorino Beltrami per creare un altro settore di sviluppo Olivetti e cioè la Divisione Macchine Contabili con l’appendice meccanizzazione integrale. Macchine Contabili che ebbero un grande successo e che consentirono alla Olivetti di entrare nel cuore delle piccole e medie imprese, come la meccanizzazione integrale rappresentò il primo esempio di proposta di sistemi integrati di automazione e di entrata in alcuni settori chiave dell’economia come quello bancario. Ebbe responsabilità importanti dirigendo anche principali succursali estere come per esempio la Francia. Nel suo percorso ebbe modo di scoprire e di lanciare tanti talenti, tante persone che occuparono poi posizioni di rilievo nella struttura commerciale Olivetti grazie al suo fiuto, alla sua capacità di capire gli uomini e poi di inserirli e farli crescere nei modi e nei tempi adeguati. Si può senz’altro affermare che la Olivetti gli deve molto e soprattutto gli deve averla portata per mano nel mondo della automazione, nel mondo sofisticato della organizzazione aziendale, naturalmente da un punto di vista commerciale, del mercato. Il suo ricordo principale però, è quello per cui tutti si illuminano, cioè la sua gentilezza sempre anche nelle situazioni ingarbugliate, la sua straordinaria umanità intelligente.


Mario Becchi
inviato da Gianni Di Quattro

Un uomo intelligente e scontroso, colto ed altezzoso, abituato a studiare ed approfondire tutto e che non sopportava quelli che facevano credere di aver capito, ma si capiva che non avevano capito. Forse la estrema intelligenza, il non essere capace di sopportare gli stupidi era, umanamente parlando, la sua principale caratteristica. È arrivato in Olivetti già dirigente, con precedente esperienza in Italsider, fu affidato subito a Elserino Piol, cui Mario sempre ha riconosciuto una intelligenza superiore, che lo inserì nei settori più avanzati. In un primo tempo nell’area della meccanizzazione integrale, prima vera proposta sistemistica di Olivetti con l’impiego delle vecchie Audit dotate di un registratore di banda perforata, innovativo perché usavano uno standard diverso e meno costoso rispetto ad altre simili offerte di mercato. Poi nel settore dei sistemi on line allora in fase di messa a punto e di lancio.
Ed è in questo campo che Mario fece un lavoro straordinario, capendo e imparando tutto ciò che c’era nel mondo, collaborando con progettisti e tecnici di laboratorio, esplorando sul mercato, in particolare su alcuni grandi clienti di riferimento, applicazioni, problemi e valori in gioco. E questo in tutto il mondo. Per alcuni anni Mario ha girato il mondo, ha attivato le consociate del gruppo sui nuovi sistemi on line, ha lanciato in altri termini la Olivetti in questo settore, nuovo per l’azienda e nuovo per il mercato.
Poi lo hanno inviato a dirigere la consociata svedese, lui che fisicamente con quella gente non aveva niente che spartire, ma dopo un po’ il clima nella Olivetti era cambiato. Era stata fatta fuori la Bellisario, che era diventata amministratore delegato di Italtel, e proprio con lei Mario è andato a lavorare confermando la stima reciproca tra loro due. Per un po’ si è occupato di aiutare a costruire la Divisione Telematica che Italtel aveva lanciato e poi andò in America come rappresentante di tutto il gruppo Stet.
In America ci è rimasto anche dopo la pensione anche se continuava a fare almeno un paio di visite all’anno in Italia per cercare almeno per qualche settimana le radici, i luoghi, il cibo, il clima, i parenti, alcuni amici. Mario Becchi non ha occupato posti di alto livello nella Olivetti, per esempio nel consiglio di amministrazione, e non si è fatto carico di qualche Divisione operativa magari nata in una delle sue continue riorganizzazioni degli ultimi tempi, ma è stato l’uomo senza il quale una parte della storia Olivetti sul mercato non si sarebbe realizzata.


(segue)

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