di Gianni Di Quattro
Il tempo è passato, sono trascorsi più di sessanta anni dalla morte di Adriano Olivetti ed ancora della sua Olivetti, della sua visione del modo di fare impresa, se ne parla tanto; si scrivono libri, si fanno commenti e persino confronti sui media cartacei o televisivi. Un fenomeno unico o comunque raro, non solo per il nostro paese, ma anche in un panorama geografico molto più vasto. Dopo la morte di Adriano (1960) la sua Olivetti ha ancora avuto una sua vita per alcuni decenni prima di scomparire del tutto, per un certo periodo nelle mani del Presidente Bruno Visentini nominato da un gruppo di intervento per aiutare l’azienda dopo appunto la morte di Adriano e poi nelle mani di Carlo De Benedetti che l’ha comprata da Bruno Visentini e che si è fatto carico di accompagnarla verso la fine.
Quello che è stata la Olivetti dopo la morte di Adriano non merita tanti discorsi, piano piano è diventata una azienda come le altre, pur mantenendo, soprattutto i primi tempi, un certo retaggio, qualcosa di quello che era stata e che avrebbe potuto essere. È finita come finiscono tante aziende: per errori di chi le conduce, per speculazioni, per un management distaccato dalla sfida del mercato, per mancanza di visione del futuro.
Ma perché dunque si continua a parlare di quella Olivetti, quella che Adriano ereditò dal padre Camillo e che era già avanti rispetto al panorama industriale del paese, era internazionale, era palesemente una azienda intelligente?
Il primo elemento che balza prepotentemente alla considerazione è l’attenzione prestata alla qualità della vita offerta ai lavoratori tutti a qualsiasi livello. Non solo con la giusta remunerazione, al di là dei contratti e delle norme, ma anche e soprattutto offrendo un ambiente di lavoro gradevole (per esempio la modernità delle fabbriche e l’arredamento degli uffici) e tanti servizi collegati, da quelli relativi alla cura dei figli (asili, colonie, borse di studio, eccetera) a quelli sanitari, da quelli per la famiglia (la casa, i trasporti) a quelli personali (gli eventi come mostre e spettacoli, la cultura con le biblioteche e le conferenze).
Interessante questa connotazione della Olivetti di Adriano perché tanti se ne stanno ricordando proprio di questi tempi, in cui tante persone, a qualsiasi livello, giovani soprattutto ma anche quarantenni, lasciano le aziende non solo e non tanto per motivi economici, ma perché non riescono a conciliare quella azienda con la qualità della vita cui si vuole aspirare (e che è molto più forte, ma molto di più rispetto al passato). Un fenomeno ormai diffuso in molti paesi, Stati Uniti compresi, e che nel nostro paese sta assumendo considerevole dimensione; solo nei primi tre mesi di questo anno 2022 ben circa trecentomila lavoratori si sono dimessi con questa motivazione.
Ecco, tanti sono quelli che oggi confrontano e pensano che Adriano avesse previsto questo, che sia stato un anticipatore. Perché dava una speciale importanza all’uomo e perché considerava l’impresa fatta di uomini e non solo di intuizioni tecnologiche, di sovvenzioni e di opportunità. E si parla di Adriano per capire.
Un secondo elemento di grande rilievo è il fatto che Adriano considerava l’impresa in modo dinamico; non bastava avere le risorse, i prodotti, i sistemi e le procedure per farla vivere in un momento dato, ma bisognava in modo permanente capire quello che stava succedendo e che poteva succedere per adeguare progressivamente tutta l’impresa al futuro. Perché questo era un atto dovuto nei confronti degli azionisti, dei manager e dei lavoratori tutti, ma anche del territorio in cui si operava e che doveva avere tutte le attenzioni per evitare squilibri sociali. Questo spiega l’investimento nella elettronica, la necessità di essere presente a livello internazionale, non solo per vendere di più ma per rendere tutta l’impresa più equilibrata; la necessità ancora di una presenza capillare in America, sino a pochi anni fa il mercato di riferimento nelle tecnologie e nei sistemi di organizzazione.
Oggi questo modo di vedere l’impresa si sta cominciando ad affermare, non solo un business immediato e poi qualcuno potrà aiutare (lo Stato nel nostro paese); in altri termini l’impresa non è un tavolino dove fare il gioco delle tre carte per acchiappare qualche cliente e poi sparire. E questo Adriano lo aveva ben chiaro soprattutto per una azienda come la Olivetti che operava in settori avanzati come quelli della organizzazione e della tecnologia. Anche stavolta Adriano anticipatore e se ne parla per questo, si fanno i confronti, ci si comincia a chiedere perché alcune imprese non riescono ad avere una lunga vita e perché non riescono a difendersi quando le turbolenze dei mercati o delle innovazioni irrompono pesantemente. E si parla di Adriano per capire.
Un altro elemento è l’impiego del concetto della versatilità dell’impresa nella attenzione a saper cogliere tutte le opportunità, soprattutto quando queste potrebbero essere in collegamento con i prodotti, gli sviluppi, i territori, gli uomini dell’impresa stessa. Per esempio, un’azienda agricola significativa per il territorio o una alleanza internazionale come quella con la Bull francese perché serve per il futuro od ancora l’acquisizione di un piccolo concorrente come la Serio con la sua Everest. Operazioni che possono servire a legare di più gli uomini che vi lavorano, il territorio in cui si opera, ancora l’immagine dell’impresa. E si parla di Adriano per capire.
A proposito di immagine, lo sviluppo di un percorso culturale con la collaborazione di riconosciuti operatori del settore (letterati, poeti, artisti del disegno) era considerato da Adriano un plus non solo per tutti coloro che vivevano l’impresa, ma anche per il mercato. E oggi questo concetto si è affermato e non è un caso che molti settori usano un percorso culturale per fare mercato ed è così che peraltro è nato e si è affermato il made in Italy, oggi una gran parte del nostro sistema economico soprattutto per la nostra presenza internazionale. E si parla di Adriano per capire.
Ed infine gli uomini. L’impresa è fatta di uomini (questo pensiero era una sua principale visione della funzione dell’imprenditore) che devono partecipare ognuno per la sua parte, che ci devono vivere bene, che ci devono crescere perché questo serve al loro futuro nella stessa impresa o in un’altra. Di uomini che devono con l’aiuto della impresa integrare le loro culture e conoscenze, perché da questo può nascere il buon futuro. In tutti i modi lo sviluppo dell’impresa ha bisogno di talenti, perché l’intelligenza non solo aiuta l’uomo a vivere, ma aiuta anche le imprese a vivere e la sua assenza è immediatamente percepibile. Per questo Adriano spendeva molto del suo tempo a selezionare e cercare persone; lo faceva a Ivrea nel suo ufficio o dovunque gli capitava, su un treno, in un’altra città, quando incontrava persone in un convegno. Per questo voleva che si assumessero i migliori laureati, ma di discipline diverse perché l’azienda aveva bisogno di tante culture e magari provenienti da punti geografici diversi, per questo assumeva gli uomini di cultura. Non era solo mecenatismo, pensava che costoro a contatto con altri potevano contribuire allo sviluppo intellettuale medio della impresa. E si parla di Adriano per capire.
Oggi l’impresa come ogni attività economica è dentro un grande processo di cambiamento, non può più essere disgiunta dalla società e dal suo ruolo sociale, le risorse umane sono diventate le più importanti per ogni forma di vita e di sviluppo di queste attività, l’immagine e la comunicazione sono diventati il grande strumento per dare ossigeno alla impresa, per accreditarla verso i clienti e i fornitori e i collaboratori tutti a qualsiasi titolo. Le imprese che non terranno conto di tutto questo sono destinate a non avere successo e tutto questo è vero non solo per alcuni settori, come taluni pensano, come la moda, ma vale per qualsiasi modo di essere piccolo o grande, tecnologico o tradizionale, locale o internazionale. Oggi è più difficile fare impresa, ci vuole più intelligenza e cultura.
Ecco Adriano Olivetti aveva capito tutto questo, tanti, tanti anni fa e aveva creato una cosa unica e bellissima. Per questo se ne parla, se ne continua a parlare ed ho la sensazione che se ne continuerà ancora per parecchio tempo.
Caro Gianni, un mio modesto contributo nel ricordare i bei tempi. Tutti i lunedì mattina, veniva portato un mazzo di fiori freschi per adornare le scrivanie delle segreterie di direzione!
Caro Gianni,
bellissimo articolo, che spiega bene perché in tanti continuiamo ad occuparci di Adriano e della Olivetti.
Presto uscirà un mio libro:
Adriano Olivetti e il “Territorio”. Dai Centri Comunitari all’I-RUR
Che renderà giustizia a quella parte meno conosciuta, ma assolutamente di primaria importanza nel pensiero di Adriano.
L’ultima frase suona così:
Adriano o lo si vede nella sua totalità oppure non lo si comprende … del tutto!
A risentirci su queste pagine
Bravo Gianni.
Mi piace questa tua capacità di “prendere le distanze” dalla storia Olivetti, per abbracciarla in una visuale più ampia e organica, pur avendone fatto parte a pieno titolo e con grande partecipazione.
Alla prossima su queste pagine.
Un caro saluto
Caro Gianni,
bellissimo articolo!
Olivetti è stata la mia prima azienda (1982-1995) e mi rendo conto di aver vissuto la parte finale di questa storia. Ho comunque potuto “respirare” qualcosa dell’eredità di Adriano Olivetti, principalmente nei primi due anni quando vivevo e lavoravo a Ivrea. Poi ho cambiato altre 7 aziende e non ho mai più trovato quel “qualcosa” che c’era in Olivetti. Mi è rimasto un forte legame con questa azienda.
Ti abbraccio.
Giancarlo
Grazie Gianni , le tue parole, sempre appassionate, risvegliano il desiderio di dialogare con te e con gli amici olivettiani .
Segnalo alcuni tuoi spunti e aggiungo qualcosa
1- ‘Se ne parla, se ne continua a parlare’ Ne parla innanzitutto chi ‘prende la parola’, centinaia di studiosi, giornalisti dopo il 2001 (eccezione importante per Caizzi , Soria, Ochetto, Gallino.. e i libri di Comunità, tutti precedenti) per lo più in modo ammirato. E moltissimi altri non ne parlano ed è la comunità delle persone che hanno lavorato in Olivetti cioè molte decine di migliaia di persone nel mondo , che pensano (pensiamo) alla straordinarietà del lavorare in Olivetti.
Tutto ciò che per noi era ‘naturale’, si è capito dopo, alla conclusione del rapporto di lavoro, che conteneva un carattere distintivo dagli altri modi di lavorare . Resta il fatto che la voce degli olivettiani non sembra essere oggetto di studi e di riflessioni del mondo della ricerca economica e sociale , mentre è presente ed è importante nel dialogo delle Associazioni- Spille d’Oro, Olivettiani , Olivettiana, Grazie Olivetti..- insieme ad un progetto in corso da parte dell’Archivio storico sulle interviste agli olivettiani.
2- ‘Adriano..dava una speciale importanza all’uomo e perché considerava l’impresa fatta di uomini e non solo di intuizioni tecnologiche..
’ Mi permetto di preferire a uomini ‘persone’, anche perché il caro e compianto amico Emilio Renzi nei suoi libri e in particolare in Persona (capitolo Persona e comunitarismi) esplora la grande rilevanza che per Adriano aveva questa parola. Sul carattere distintivo del lavoro in Olivetti, vorrei cominciare dall’assunzione.
Ricordo che nel 1955 nasce la Olivetti Italia: Via Clerici, il Cisv a Firenze, la Sede di Rappresentanza poi Via Camperio (pubblicità) (bellissimo il testo di Emilio Renzi! sarà insieme ad altri testi in Meridiano Emilio Renzi sul sito di Olivettiana) ) e la Direzione del personale della DPCI.
Chi veniva assunto in Olivetti, dopo avere fatto domanda, risposto ad annunci o in quanto diplomato e laureato invitato ad un colloquio, si trovava di fronte selezionatori che facevano domande del tipo ‘che libro sta leggendo’, ‘mi parli dei suoi amici (la graphic novel delle tecniche di selezioni di Mario Tchou è tutte da vedere..). Non erano tanto le attitudini o le potenzialità il focus del colloquio (peraltro importanti) bensì la stima di sè, la cultura maturata a scuola, la socialità ecc. Nelle schede di gestione del personale (ho lavorato nel settore per diversi anni) , le sintesi del colloquio di assunzione contenevano brevi accenni alle parole del candidato.
Ed è per questo che le persone che hanno lavorato in Olivetti si riconoscono per alcune affinità ed è forse questa la ragione per cui ancora oggi svariate tipologie di interlocutori , riconoscono agli olivettiani una sorta di identità comune.
3-‘E infine gli uomini. L’impresa è fatta di uomini..che devono partecipare ognuno per la sua parte, che ci devono vivere bene, che ci devono crescere perché serve al loro futuro nella stessa impresa o in un’altra’ In un libro del 1956 Le pubbliche relazioni in Italia La Olivetti, di Alberto Spreafico (sul web il suo interessante profilo) si legge (p.28) ..nel novembre del 1952 nasce Notizie Olivetti. Si tratta di una rivista illustrata, edita dall’ufficio stampa, di cui vengono tirate 17.000 copie che sono distribuite a tutti i dipendenti nonché ad un certo numero di organizzazioni esterne (ad esempio gli uffici stampa di altre industrie) Questa pubblicazione si propone di far comprendere ai dipendenti lo spirito, la politica, la necessità, i problemi della fabbrica in cui sono chiamati ad operare , di far loro conoscere le conquiste della tecnica e dell’ingegno umano e di educarlo al realismo: ad apprezzare la dignità e l’importanza del loro lavoro..” In questo piccolo libro di 96 pagine in 4 capitoli tra i quali Rapporti con la comunità in cui sorge l’impresa, Rapporti commerciali, Rapporti col pubblico indifferenziato si capisce lo sforzo veramente straordinario di fare e dire cose nuove che ha fatto la Olivetti.
Arrivo ad una conclusione. Parlare per chi? In Olivettiana.it , pensiamo che sia prioritario parlare di storia olivettiana ai giovani ‘dell’età geniale’, che per estensione va dalle medie al dottorato , cioè a chi studia. Parlare in un modo’ che rinfreschi l’anima e accresca la vitalità’ . Sono parole di Leopardi che mi servono per dire che fra i tanti modi di parlare di Olivetti, per questa categoria di pubblico occorre uno sforzo di immaginazione creativa piuttosto impegnativo. Non vorrei essere frainteso, ma la prosa seria e carica di dottrina rischia di non attraversare la barriera che si è creata sul tema ‘comunicazione’ con le persone giovani.
Un caro saluto Galileo Dallolio Olivettiana.it
Il commento di Galileo Dallolio evidenzia la barriera che si è creata sul tema ‘comunicazione’ con le persone giovani come rischio da evitare.
Vedo “il parlare di Adriano Olivetti” come un’opportunità imperdibile di avviamento di un processo, che permetta di “individuare” le difficoltà che hanno contribuito a crearla, “scegliere” come affrontarle e “tentarne il superamento”.
Si tratta comunque di un’opportunità da associare a un problema di presentazione [ai giovani e non solo], che permetta di renderla motivante per un uso delle piattaforme sociali indirizzato alla partecipazione, piuttosto che all’aggregazione di seguaci.
L’odierno problema di comunicazione [assistita dalle piattaforme digitali] è analogo al problema di esecuzione [di programmi di calcolo elettronico] agli albori di “macchine zero”, come Elea 9003 di Olivetti o il CDC 6600 della Control Data Corporation. Mi chiedo se possa essere significativo notare che, oggi, “CDC” sta per “Centers for Disease Control and Prevention” [ http://www.cdc.gov/ ]. Per me lo è.
Allora fu quasi spontaneo percepire e soddisfare il bisogno di un processo di progressivo adeguamento e ottimizzazione delle macchine, in termini di sistemi operativi e di configurazioni, come risposta, economicamente sostenibile, a [utopistiche] finalità d’uso scientifico.
Oggi, invece, almeno 40 anni di prevalenti [pragmatiche] finalità d’uso mercantile offuscano totalmente la percezione del bisogno di un analogo processo, che tenda a rendere realizzabili anche utopie sociali, o umanistiche.
A corredo di questo mio commento segnalo
1)
l’articolo di Vito Mancuso, su La Stampa del 30 Giugno scorso, disponibile via sito dell’autore in pdf
http://www.vitomancuso.it/wp-content/uploads/2022/07/Lutopia-di-restare-umani-PDF.pdf
2)
la descrizione degli effetti disumanizzanti dell’uso di Big Data, che ho letto su “L’innominabile attuale” di Roberto Calasso ed evidenziato in questa immagine da schermo
http://www.casarayuela.eu/wp-content/uploads/2022/07/220710_DaTaismoVsDaDaismo.jpg