di Fausto Capasso
Nota dell’autore: Riprendo a scrivere i ricordi della mia esperienza di lavoro alla Olivetti, ripartendo dal momento in cui avevo cessato la attività di progettista. Ho fatto tesoro del contributo di Giovanni Lo Cigno e ho corretto e completato la bozza arrivando alla sua forma attuale, nel giugno 2012.
L’ Ufficio Brevetti
Lasciati gli Uffici Progetti Telescriventi, presi servizio all’Ufficio Brevetti, con la convinzione che si trattasse di una attività molto interessante. Mi resi subito conto che mi ero sbagliato e che quel lavoro non mi piaceva affatto: per me, i brevetti erano aridi e noiosi.
Il capo dell’Ufficio Brevetti, Mario Winkler, mi aveva dato come primo incarico il compito di accertare l’eventuale esistenza di brevetti di altre ditte per una nostra invenzione, per sapere se potevamo utilizzarla senza violare i diritti di altri, ed in caso positivo per procedere alla preparazione di un nostro brevetto.
In quel tempo, per la mancanza di banche dati, le ricerche di quel tipo erano lunghe e difficili, a meno che non si avesse un grande bagaglio di conoscenze nel settore specifico. Nonostante la totale mancanza di esperienza trovai subito quanto cercavo, ma era stato un puro caso, un colpo di fortuna, e sentivo di non meritare gli elogi che Winkler mi aveva fatto in quella occasione.
Quando poi Winkler mi propose, come prima attività, di preparare il brevetto per una delle soluzioni dei problemi che avevo dovuto affrontare, in modo originale, per la trasmissione dati con correzione automatica degli errori, io mi resi conto che le avevo rese tutte non brevettabili divulgandole prima di pensare a proteggerle.
La mia preparazione era di gran lunga inferiore a quella degli espertissimi colleghi ed amici ing. Giovanni Lo Cigno nel settore meccanico e ing. Stefano Ravera nel settore elettronico. Quel divario mi apparve subito irrimediabilmente incolmabile e ne parlai con l’ing. Lupo dell’Ufficio Personale. Gli dissi francamente che pensavo di non poter arrivare in tempi ragionevoli ad un grado di conoscenza tale da poter svolgere con successo il nuovo lavoro: era come cominciare a suonare il violino a trent’anni! Lupo ne prese nota e mi promise interessamento.
La mia conoscenza del mondo dei brevetti, che all’inizio era praticamente nulla, è rimasta molto limitata anche dopo aver passato qualche mese nell’Ufficio Brevetti. La sola cosa che avevo stabilito con certezza era che un brevetto garantisce l’esclusività dello sfruttamento di un trovato, per un determinato periodo di tempo, come premio per aver messo la sua conoscenza a disposizione del pubblico.
Per evitare di scrivere qualcosa di impreciso ed incompleto sulla mia esperienza di quel periodo mi sono ora rivolto all’amico Lo Cigno, che ho avuto il grande piacere di ritrovare, dopo tanti anni, in occasione dell’incontro “Olivettiani” del 24 marzo 2012. Mi ha scritto una mail con la quale mi ha fornito tanti elementi che sono serviti a chiarirmi le idee sull’attività dell’ Ufficio Brevetti di allora.
Quanto segue corrisponde a quello che solo adesso ho capito grazie alle sue osservazioni. Queste osservazioni si riferiscono al periodo in cui lui lavorava all’Ufficio Brevetti e potrebbero non corrispondere alla attuale situazione, forse un po’ diversa da quella di allora.
In alcuni Paesi, fra i quali la Germania e gli Stati Uniti, la concessione di un brevetto avveniva dopo un esame di merito, mentre in altri, fra i quali l’Italia, la Francia e la Spagna, era in vigore il sistema a registrazione. In tutti i Paesi Europei, compresa la Germania, il brevetto spettava a chi depositava la domanda per primo. Era comunque necessario che il brevetto avesse la caratteristica di novità assoluta, nel senso che costituiva motivo di nullità l’eventuale divulgazione del trovato prima della data del deposito, sia da parte di altri che dello stesso depositante.
Invece in USA la protezione brevettuale spettava al primo inventore anche se non era stato il primo a depositare la domanda di brevetto. C’era quindi per il primo inventore la possibilità di far valere la sua priorità fornendo documentazioni tali da dimostrare l’esistenza in USA della sua invenzione prima della data del deposito della domanda da parte di altri.
In Usa la durata della protezione era di diciassette anni dalla concessione del brevetto, mentre in Italia era di quindici anni dalla data del deposito della domanda. Nel resto dell’Europa variava da Paese a Paese.
Winkler, triestino di madre lingua tedesca, conosceva bene il suo mestiere ed aveva creato in Olivetti uno degli Uffici Brevetti aziendali più prestigiosi d’Italia, con un pacchetto brevettuale molto valido. Insieme ai responsabili di Pirelli, Montedison, ENI e IBM Italia aveva fondato l’AICIPI (Associazione Italiana dei Consulenti in Proprietà Industriale di Enti ed Imprese).
ndr: Testimonianza dell’importante contributo della Olivetti ai lavori sulla proprietà intellettuale è il fatto che l’ing. Giovanni Lo Cigno faccia parte ancor oggi, dopo tanti anni dalla scomparsa dell’azienda, dell’AICIPI come Socio Onorario.
L’impostazione che egli aveva dato al problema brevetti era rigorosa ed onesta. I nostri brevetti si riferivano ad invenzioni molto valide ed erano formulati in modo chiaro e conciso, in poche pagine, per proteggere un preciso concetto inventivo.
Invece i brevetti di alcune ditte americane, con tante pagine, anche più di cinquanta, mi erano apparsi oscuri e pletorici. Al mio superficiale esame di allora essi apparivano costruiti in modo tale da nascondere in mezzo a tante chiacchiere più o meno inutili la rivendicazione del concetto inventivo, espressa nel modo più nascosto possibile, anche se certamente difendibile in caso di contestazioni. Il mio sospetto era che quelle ditte volessero ottenere la protezione del trovato dando però in cambio molto poco, e cioè una sua descrizione di non facile comprensione per il pubblico. Pensai anche che esse cercassero di rendere più complessa l’istruttoria della approvazione del brevetto negli USA per allungarne i tempi, dato che la durata della protezione durante l’istruttoria stessa (“patent pending”) si sommava ai diciassette anni di protezione dal momento della concessione (“patented”). Ora, dopo i chiarimenti di Lo Cigno, capisco che la formulazione di quei brevetti era coerente con la legislazione allora in vigore in USA e che la lunghezza del documento poteva essere giustificata dalla necessità di descrivere non soltanto il trovato ma anche l’intera apparecchiatura di cui esso faceva parte.
Winkler morì improvvisamente poche settimane dopo il mio arrivo nell’Ufficio Brevetti. Aveva solo quarantacinque anni! Il suo posto fu preso ad interim dall’ing. Fulgido Pomella, che era già in pensione ma accettò quell’incarico per colmare temporaneamente la grave lacuna che si era creata.
I marchi di fabbrica
Io rinunziai ad ulteriori tentativi nel settore dei brevetti e mi occupai dei marchi di fabbrica, settore che era rimasto scoperto perché fino ad allora era stato seguito esclusivamente da Winkler. E i marchi erano per me meno ostici dei brevetti.
Di quel periodo io ricordo che era appena uscita sul mercato la nostra Programma 101, giustamente considerata il primo Personal Computer da tavolo del mondo (sia pure con caratteristiche molto limitate, soprattutto dal punto di vista della memoria). La ditta americana Friden si era opposta all’uso da parte nostra del marchio Programma, in contrasto con il marchio Programatic di una sua macchina capace di realizzare un allora valido sistema di scrittura. Era una opposizione fondata e il dottor Zorzi, responsabile di quelle scelte, decise di rinunziare da allora in poi all’uso del nome Programma. Il modello successivo fu chiamato P 102. Io avevo pensato al nome “Formula”, ma non ebbi il tempo di proporlo, la decisione era già stata presa.
Ricordo anche una contestazione della ditta tedesca Bahlsen per l’uso del nome Tekne per le nostre macchine per scrivere, nome che secondo loro era in contrasto con il marchio Tek dei loro biscotti. Si trattava di contestazione ingiustificata, sotto certi aspetti assurda, e non fu difficile difendere il nostro marchio.
Un giorno ricevetti una comunicazione dell’Ufficio Brevetti di Cuba : “Tenemos el gusto de comunicar a ustedes que las tarifas son aumentadas” E’ ben risaputo che in lingua spagnola l’espressione “tenemos el gusto” viene usata correntemente come formula di cortesia, ma certamente mi aveva colpito il fatto che avevano aumentato le tariffe e ci provavano pure gusto! E poi, in chiusura, come saluto: “revolutionariamiente”.
E dagli Stati Uniti, in risposta ad una nostra lettera firmata Ufficio Brevetti : “Dear Mr. Brevetti”.
Le norme di sicurezza
Qualche tempo dopo la morte di Winkler mi fu affidato, direttamente dall’ing.Tufarelli, allora uno dei massimi responsabili della società, il compito di assicurare la rispondenza di tutti i nostri prodotti elettrici alle norme di sicurezza internazionali, e di ottenere le relative approvazioni nei vari Paesi che la richiedevano. Continuavo a far parte dell’Ufficio Brevetti perché questa era la volontà di Tufarelli, accettata di buon grado dall’ing. Pomella. Per Tufarelli era importante che io rimanessi in un Ente a livello Aziendale, indipendente dagli interessi della Produzione e della Ricerca e Sviluppo, come appunto era l’Ufficio Brevetti.
Ma l’ing. Sarti, successore dell’ing. Pomella, non gradiva quella soluzione, che gli appariva non coerente con i compiti del Ufficio Brevetti e che nel suo bilancio era un costo senza ritorno diretto. Un giorno mi chiamò per dirmi che aveva concordato con l’ing.Perotto il mio passaggio nella Ricerca e Sviluppo, nel gruppo dell’ing. Rebaudengo. Per farmi accettare quella soluzione aveva ottenuto che mi fosse riconosciuto un sensibile aumento di stipendio. Grande stima da parte mia per Perotto, e stima e buona amicizia con Rebaudengo, ma a parte una decisa riduzione dei miei poteri personali che naturalmente non gradivo, veniva a mancare una delle condizioni che l’ing.Tufarelli aveva posto nel darmi l’incarico, e cioè l’indipendenza delle mie decisioni dagli interessi della Ricerca e Sviluppo.
Tufarelli aveva già lasciato l’Olivetti, per diventare il Direttore del settore Auto della FIAT. Presi l’iniziativa di contattare l’ing. Giovannozzi, responsabile dello STAC (Servizio Tecnico di Assistenza ai Clienti) il quale accettò di buon grado che io facessi parte del suo Gruppo, anch’esso, come l’Ufficio Brevetti, al di fuori degli interessi della Ricerca e Sviluppo e della Produzione. Dopo qualche mese Giovannozzi mi fece avere quell’aumento di stipendio al quale avevo rinunziato rifiutando il passaggio con Perotto.
Lasciai quindi l’Ufficio Brevetti e presi servizio nello STAC. Il mio lavoro, che in un primo momento avevo svolto da solo, diventò ancor più efficace quando potei contare sull’apporto di alcuni validi collaboratori.
Il nostro gruppo fu poi chiamato SACEO (Servizio Approvazioni Caratteristiche Elettriche ed Omologazioni) e di esso parlerò in un altro racconto.
Qui si interrompe il racconto di Fausto, deceduto il 29 maggio 2015. Ci mancherà la sua affettuosa presenza ai nostro raduni. E ci manca il tratto finale del suo lungo tragitto in azienda. Riposa in pace, amico Fausto.