di Gianni Di Quattro
Il primo Elea 9003 fu installato a Valdagno alla Marzotto che è stato dunque il primo cliente a credere nella avventura elettronica Olivetti. Quando la macchina fu installata Marisa Bellisario non era ancora stata assunta in Olivetti. Fu poi lei a prendere in mano la situazione dopo tempo e naturalmente a risolverla. Il primo gruppo che all’inizio fu inviato a Valdagno (addirittura prima che la macchina arrivasse) a programmare era composto, alle dipendenze di Michele Cimino, detto il vescovo per il suo tono sempre un po’ pontificale e nello stesso tempo assolutorio, da Toni Fasoli con l’aria di un cow boy pronto a sparare e che non lasciava mai il suo mezzo toscano, Raimondo Peri un cattolico fanatico un po’ sognatore e un po’ dedito a battute e scherzi tipici da oratorio, Luigi Lanaro il bello del gruppo che era dedito a conquiste femminili di ogni tipo sino a quando Franca, una di queste conquiste proprio a Valdagno, non lo trascinò all’altare, un pugliese milanesizzato, Umberto Padalino, con l’aria dell’intellettuale meridionale naturalmente con pipa e occhiali e discorsi sul futuro dell’uomo, altri che andavano e venivano da Milano. C’erano pure Ildo Frediani, un toscano di Fucecchio che amava la vita, le donne e, come ogni buon toscano, la battuta e che con Tommaso Moro, un genovese brontolone, sempre alla ricerca di cosa non funzionava ed era sbagliato, curava il centro a schede perforate che funzionava in attesa di essere sostituito appunto dall’Elea 9003. Si era resa necessaria la sua installazione perché l’IBM che c’era prima quando perse la gara per l’elaboratore se ne andò con le sue macchine e i suoi pensieri, senza preoccuparsi, nel suo modo di vedere il mercato, di chi aveva avuto l’ardire di tradirla.
Dopo Michele Cimino, destinato ad altre attività che poi lo portarono con successo a diventare il Direttore Commerciale dell’azienda, fu incaricato di seguire l’avviamento dell’elaboratore Sergio Amati, proveniente dai sistemi meccanografici (Olivetti Bull), bravo, ombroso e scontroso. Naturalmente si programmava in linguaggio macchina e tutte le istruzioni spesso non erano chiare e quindi il dialogo con i centri di ricerca e di progetto di Borgolombardo erano continui, giornalieri direi.
A Valdagno la vita era assente, stavamo in un piccolo albergo (l’hotel Roma) dove si mangiava anche e discretamente, si passavano le serate al Club Unione Valdagno, un circolo allocato in locali collegati all’Hotel Pasubio, il più bello di Valdagno, dove però spesso non c’era nessuno, specie durante la settimana. Allora per fare qualcosa si andava a cena a Vicenza e si vedeva una città viva. Ricordo che quando uscì il film La dolce vita di Fellini tutti temevamo che lo avrebbero censurato e forse ritirato dalla circolazione (giravano certe battute in merito alla sua spregiudicatezza), per dire il clima che si respirava nel paese in quegli anni, siamo dunque andati sino a Padova per poterlo vedere in prima visione. Ogni tanto al circolo di Valdagno la sera si univa a noi il conte Pietro, il più giovane dei fratelli Marzotto, appena laureato alla Bocconi e che cercava la strada nelle aziende di famiglia.
Eravamo giovani, cercavamo di capire quello che facevamo, alcuni di noi erano più capaci, altri, come me, meno, tanto è vero che dopo un pò sono stato inviato a Roma cambiando mestiere, il mio compito non era più quello di programmare un elaboratore, ma aiutare i commerciali a capire le applicazioni, a fare gli studi e magari a studiare come l’elaboratore le avrebbe interpretate o, per meglio dire, come si doveva pretendere dall’elaboratore un certo modo di interpretarle.
Sono stato felice di questo cambiamento per tre motivi. Il primo quello di andare, anzi di tornare a Roma dove ero stato un paio di anni prima di passare alla Divisione Elettronica e lavoravo nella Olivetti tradizionale o general line come si usava dire allora. Il secondo di cambiare mestiere perché avevo capito che il mestiere di programmatore non era il mio e se avessi dovuto andare avanti sarei sempre stato una scartina. Il terzo quello di cambiare, di provare, di avvicinarmi di più a quello che mi era sembrato di capire che sarebbe stato nel futuro il mio interesse principale sul piano professionale e cioè il mercato. E poi di avvicinarmi a Palermo raggiungibile con un volo diretto e veloce o con il piroscafo da Napoli, avere la possibilità di tanto in tanto di andare a vedere la mia famiglia e alcuni amici, mi mancavano tutti e tanto. Io sono andato a Roma, la situazione a Valdagno non era facile, ma poi è arrivata Marisa. E ho detto tutto come direbbe Peppino De Filippo.
Scusatemi per mio italiano deteriorato. Sono stato fuori ambiente dove si parla italiano per piu’ di 40 anni.
Non lavorai con ELEA, ma lavorai nel settore di sistemi 1962-1981 in Giappone.
Il foto allegato all’eMail mi ha fatto ricordare l’attivita’ mia negli anni 1970.
Questo foto fu certamente preso in una riunione coi clienti giapponesi. Nel foto da sinistra a destra ci sono Franco Agostinucci, interpretatrice Ms. Ohno (se mene ricordo bene il suo nome), Dottoressa Bellisario e Dott. Luciano Cohen, Presidente dell’Olivetti Corporation of Japan.
Dotoressa Bellisario veniva alcune volte a Giappone per aiutare vendere TC 800 e quando lasciai Olivetti Corporation of Japan, avevamo venduto secondo piu’ grande numero di unita’ di TC800 dopo Italia.
Io ero sempre “master of Meeting” e interpretatore nelle riunioni con lei.
Sono sicuro che questo foto preso in una delle riunioni coi clienti.
Dottoressa Bellisario e Franco Agostinucci (non c’e nel foto ma anche Paolo Locatelli) aiutarono molto nella grande vendita di TC 800 in Giappone.
Dottressa Belisario veniva al Giappone sovente
Hai buona memoria Hishihara-san, la fotografia è stata ripresa durante la “Olivetti Fair 1975” a Tokio. (Associazione Archivio Storico Olivetti)
Caro Gianni,
è probabile che ci si sia incontrati nel CED della Marzotto dove io ero il tecnico dell’Unità Centrale mentre il mio collega Emilio Tognoli si occupava del GUN (Governo Unità Nastri). Ricordo bene la Belisario e Lanaro e fu proprio lui, in una sera di solitudine, ad invitare me e altri due colleghi al Club a cui accennavi. All’epoca alloggiavo “da Marietto” che si trovava sulla statale proprio all’ingresso di Valdagno. Più tardi mi trasferii al “Roma” dove sperimentai il “salto della campana”. Mi spiego: la finestra della mia stanza si affacciava sul campanile della chiesa, circa 20 metri in linea d’aria, e la domenica mattina, che avrebbe dovuto essere dedicata a un lungo sonno ristoratore, ero costretto a balzare dal letto in tutta fretta a causa dello scampanio che annunciava la celebrazione della prima messa. Della Belisario ricordo bene il suo piglio autorevole e le sue stupende gambe. Povera Marisa! Quando lessi, anni dopo, della sua prematura scomparsa ne rimasi veramente turbato.
Sono contento di condividere con te il ricordo di quel meraviglioso periodo reso tale, oltre che da un lavoro affascinante, anche dall’età.
Un caro saluto.
Gianfranco Nizzica