di Giuseppe Silmo Nei giorni di questo inverno sempre più chiusi nelle nostre dimore, si è portati alla rilettura delle memorie del passato. Un discorso di Adriano Olivetti che mi ha sempre affascinato e che ho riletto è quello Ai Lavoratori di Ivrea alla vigilia di Natale del 24 dicembre 1955.[1] Questo testo non mi sono mai stancato di rileggerlo, e in esso ho sempre trovato pensieri su cui riflettere e da citare nei miei scritti. A commento di questo testo avevo redatto, alcuni anni fa, una “Nota sulle varie edizioni del discorso” per il sito delle Spille d’Oro (sezione Cultura Olivetti)[2], in cui evidenziavo, come, rispetto all’originale, nelle numerose edizioni successive del discorso, fatte dalle Edizioni di Comunità, fossero state omesse alcune parti:
- a circa metà del discorso due paragrafi relativi alla prossima realizzazione di un calcolatore elettronico,
- in chiusura poi, due paragrafi, legati alla circostanza natalizia e agli auguri.
Su quest’ultimo taglio torneremo però al termine di questo scritto. Ora, iniziando con i primi due paragrafi mancanti, lo scopo è di cercare di capire:
- quali sono state le ragioni che hanno portato Adriano a pronunciare quelle frasi con l’annuncio di un calcolatore;
- quale era la strategia aziendale al riguardo;
- chi e perché ha soppresso quelle frasi.
Di seguito la parte del discorso da cui sono state espunte le frasi sul calcolatore: “Nel campo dell’elettronica, ove soltanto le più grandi fabbriche americane hanno da anni la precedenza, lavoriamo metodicamente da quattro anni e ci siamo dedicati a un campo nuovo. Tra pochi mesi sarà resa nota l’esistenza di una nostra macchina elettronica e presentata qui a Ivrea ai tecnici e alle rappresentanze dei lavoratori: si tratta di una macchina completamente originale, che sotto la guida dell’ing. Dino Olivetti, Michele Canepa e altri ingegneri di Ivrea hanno messo a punto nel nostro laboratorio di ricerche avanzate. Essa avrà una memoria di 5000 posizioni ed appartiene alla classe di media grandezza. Siamo al promettente principio di più ampi sviluppi. Una nuova sezione di ricerca potrà sorgere nei prossimi anni per sviluppare gli aspetti scientifici dell’elettronica, poiché questa rapidamente condiziona nel bene e nel male l’ansia di progresso della civiltà di oggi. Noi non potremo essere assenti da questo settore per molti aspetti decisivo. Con ciò tuttavia nessun pericolo incombe sulle nostre produzioni: come l’industria aeronautica non ha fermato lo sviluppo di quella automobilistica, così le calcolatrici elettroniche non sostituiranno, almeno per molto tempo né le addizionatrici, né le calcolatrici meccaniche. Esse si aggiungono soltanto a render possibile l’esistenza efficiente dei grandi organismi e a procurare a tecnici ed operai italiani nuove occasioni di lavoro. Il discorso appare un vero e proprio annuncio, fatto con il massimo dell’ufficialità e certo forse non graditissimo dalla “nomenclatura meccanica”, tant’è che Adriano si preoccupa subito di tranquillizzarla con il riferimento all’industria automobilistica non ostacolata dall’industria aeronautica. Qui appare evidente non tanto la necessità di fare un annuncio commerciale, che sarebbe stato del tutto fuori tempo e luogo, ma quello di preparare l’Azienda nel suo insieme alle prospettive del futuro e di superare le contrapposizioni che Adriano già intravede e sente tra “meccanici” ed “elettronici”. Fa appello quindi anche all’orgoglio aziendale che vede l’Olivetti competere con le grandi industrie americane. Nella visione di Adriano l’era elettronica per l’Olivetti è già iniziata, anche se il primo calcolatore elettronico, potrà essere commercializzato solo quattro anni dopo, nel 1959, ma già nel 1957 la Macchina Zero è installata nel Centro Meccanografico della Olivetti ad Ivrea. Adriano in quel momento non può quindi che riferirsi al laboratorio di New Canaan, operativo dal 1952[3], citando anche il fratello Dino e Michele Canepa, responsabile del laboratorio. Il laboratorio di Barbaricina, vicino a Pisa, a cui Adriano non fa cenno alcuno, è stato appena aperto un mese prima (novembre 1955[4]). Passando più precisamente al contesto aziendale occorre innanzi tutto sottolineare che le due operazioni: New Canaan e Barbaricina nascono in momenti diversi, per ragioni diverse e non sono legate fra di loro, né sono alternative l’una rispetto all’altra.[5] New Canaan è un’operazione fortemente voluta da Dino Olivetti, fratello minore di Adriano e presidente della Olivetti Corporation of America (OCA), che grazie all’esperienza maturata negli Stati Uniti e in particolare ai contatti maturati durante i suoi studi a Boston, si rende perfettamente conto che il futuro della Olivetti non può essere disgiunto dall’elettronica. La sua famiglia riafferma ancora oggi il suo ruolo come iniziatore dell’elettronica in Olivetti e di essere stato lui a convincere Adriano ad aprire il Laboratorio di New Canaan, dove risiede, per averlo sotto il suo diretto controllo. Barbaricina è nata in seguito all’invito dell’Università di Pisa a Adriano Olivetti, nel maggio 1955, di partecipare alla realizzazione della Calcolatrice Elettronica Pisana (CEP). A cui dopo pochi mesi fa seguito la nascita del laboratorio di Barbaricina, avendo realizzato che la CEP è un elaboratore scientifico, mentre la Olivetti ha bisogno di un elaboratore commerciale. Ciò nonostante non viene meno la collaborazione con l’Università a cui rimangono distaccati ingegneri Olivetti e vengono forniti materiali come il “tamburo magnetico” per la memoria di massa del CEP prodotto da New Canaan. Nel 1960, le Edizioni di Comunità ristampano il discorso a Milano in Città dell’uomo, con il titolo Ai lavoratori di Ivrea,[6] omettendo i seguenti brani: “Tra pochi mesi sarà resa nota l’esistenza di una nostra macchina elettronica e presentata qui a Ivrea ai tecnici e alle rappresentanze dei lavoratori: si tratta di una macchina completamente originale, che sotto la guida dell’ing. Dino Olivetti, Michele Canepa e altri ingegneri di Ivrea hanno messo a punto nel nostro laboratorio di ricerche avanzate. Essa avrà una memoria di 5000 posizioni ed appartiene alla classe di media grandezza. Siamo al promettente principio di più ampi sviluppi”. L’omissione non sembra casuale, l’8 novembre 1959 è stato presentato solennemente l’Elea 9003, frutto del laboratorio di Barbaricina. Meno comprensibile da un punto di vista editoriale e perché si vada a censurare un discorso di cinque anni prima. Non è stata certo una decisione dell’editore, l’input può essere arrivato solo da Ivrea. Ma da chi? Forse da Pero, scelto dalla famiglia per sostituire Adriano come Presidente e Amministratore Delegato, che ha deciso la chiusura di New Canaan a pochi mesi dalla morte di Adriano, d’accordo con la parte della famiglia meno portata all’innovazione, in contrapposizione con Dino? Sicuramente è stata una ragione diciamo così “politica”, in cui famiglia e azienda si confondono. Con un tratto di penna si cancella quindi New Canaan, ma si condanna anche all’oblio totale il lavoro di ricerca e sviluppo di tanti uomini e un capitolo della storia stessa dell’azienda, perché in effetti, al di là delle intenzioni iniziali, questo è stato il risultato. Il vuoto di documentazione dell’Archivio Storico Olivetti di Ivrea[7] e la mancanza di memoria su New Canaan lo dimostrano. Bruno Caizzi nel suo libro Camillo e Adriano Olivetti del 1962,[8] omette anche lui i brani, prendendo evidentemente il testo da Città dell’uomo e non parla mai di New Canaan. Il testo del Caizzi, notissimo, letto da tutto il mondo olivettiano e non solo, ha contribuito ulteriormente a fare calare il silenzio. Nel 1962, quando il Caizzi scrive, esiste evidentemente ormai un’unica verità, che diventa nell’iconografia ufficiale, come un mantra che verrà costantemente ripetuto: l’elettronica Olivetti è nata a Barbaricina per merito di Adriano Olivetti. Questa “verità” è talmente consolidata, che nel 2009, quando inizio a impostare una traccia dei primi capitoli del libro Olivetti e l’Elettronica,[9] sottoponendola a una prima lettura a Mario Caglieris, in cui accenno ai primordi americani dell’avventura elettronica per merito di Dino Olivetti, con il ruolo di Michele Canepa come responsabile del Laboratorio di New Canaan, Caglieris, che tiene molto alla pubblicazione del libro, perché contiene la sua testimonianza sulla “crisi del 1994”,[10] mi convoca per dirmi con una certa energia: “La vicenda elettronica inizia alla fine degli anni Cinquanta. Chi ha avuto l’idea, per quanto ho saputo e visto, è soltanto Adriano Olivetti, con quelle sue doti di preveggenza che l’ho hanno sempre caratterizzato”.[11] Mario Caglieris era stato assunto da Adriano Olivetti nel 1956, assumendo quasi subito la responsabilità amministrativa dell’Istituto Italiano Centri Comunitari a suo diretto riporto.[12] La sua affermazione tradisce il fatto che negli anni ‘50 era esterno all’Azienda, essendo l’elettronica iniziata a New Canaan nel 1952 e a Barbaricina nel 1955. Quindi, ha solo visto gli esiti finali di Barbaricina. Tuttavia, l’evidenza dei fatti e delle testimonianze, in primis la lunga intervista a Michele Canepa, attuata da Matteo Olivetti, nipote di Dino Olivetti, da me trascritta,[13] con richiesta di chiarimenti e integrazioni allo stesso Canepa, mi permettono di dimostrare la fondatezza di quanto andavo scrivendo, per cui lo stesso Caglieris, con grande onestà intellettuale, si dichiara d’accordo sul testo e dà disposizione perché venga pubblicato il libro, donando alle Spille d’Oro Olivetti l’intera somma necessaria. Verrà stampato nel novembre 2010. Mario Caglieris morirà la notte di Natale nella casa della sorella a Cuorgnè, dove al mattino mi recai per un ultimo saluto e per offrire la vicinanza e l’aiuto per le esequie delle Spille d’Oro. Una reazione analoga a quella iniziale di Caglieris, ma con motivazioni diverse e non certo perché non a conoscenza dei fatti, l’ho avuta durante la presentazione del libro nella Sala Dorata del Comune di Ivrea, quando Lucio Boriello, dello storico gruppo dei progettisti di Barbaricina, finita la presentazione, con molto garbo, da cui pero traspariva il disappunto, mi ha sostanzialmente detto che l’elettronica Olivetti è unicamente Tchou. Certo da Barbaricina è uscito l’Elea 9003. Da New Canaan non è uscito un calcolatore completo, sono però usciti alcuni componenti elettronici importanti come la memoria di massa della CEP o altre realizzazioni innovative per l’industria della stampa, la Linotype, o per la Marina americana,[14] dimostrando così di non essere solo un centro di ricerca come sostenuto da varie fonti. La ragione per cui non si giunse alla realizzazione di un calcolatore da immettere sul mercato va ricercata da un lato nel perseguire sempre traguardi tecnologicamente più avanzati e nell’altro dalle continue richieste di altri progetti. Dice, infatti, Canepa nella sua lunga intervista: “Le risorse vennero quindi sparpagliate per cui il progresso su tutti questi progetti procedette in modo un po’ lento”.[15] La cancellazione della memoria continuerà nelle Edizioni di Comunità, al pari di quanto fatto nel 1960, in tutte le successive ristampe del discorso edite fino ad oggi:
- Adriano Olivetti, Ai lavoratori di Ivrea, in Città dell’uomo, Torino 2001;
- Adriano Olivetti, Discorso di Natale, in Il mondo che nasce, a cura di A. Saibene, Roma/Ivrea 2013;
- Adriano Olivetti. Discorsi di Natale, Roma 2017.
Una eccezione la fa l’Archivio Storico Olivetti nel 2008, che, partendo dal testo originale d’archivio, ha curato una nuova edizione del discorso, completo di tutte le frasi, con il titolo simile all’originale, Messaggio dell’ing. Adriano ai dipendenti dell’Organizzazione,[16] corredandolo di una interessante analisi semiotica, di Lisa Gino, sulla struttura del testo, sull’analisi del linguaggio e sul significato delle parole derivanti dal pensiero e dai valori di una persona complessa come Adriano Olivetti. Il lavoro è stato edito in un volumetto con il titolo Un discorso di Adriano Olivetti ai dipendenti. Analisi del testo: dal profitto come valore al valore come profitto. Il testo, disponibile on-line, è edito dal Gruppo Loccioni per volontà di Enrico Loccioni, l’illuminato imprenditore marchigiano, che si è richiamato ai valori olivettiani nella creazione della sua Azienda.[17]
*************
Io credo che per questo discorso è venuto il momento di una ristampa ufficiale completa da parte delle Edizioni di Comunità, che superi le possibili ragioni delle omissioni. Ormai i motivi aziendali e famigliari di possibili contrapposizioni, che hanno forse portato alla soppressione di alcune parti, sono superati, quel discorso è parte della storia di un’azienda nella sua integrità e come tale deve essere considerarlo. In tutte le edizioni citate mancano poi i due paragrafi della chiusura del discorso: “Amici lavoratori della ICO, della OMO, della Fonderia, dei Cantieri, volgendo al termine di questo lungo messaggio permettete che io vi ricordi un messaggio più alto, che vecchio di duemila anni accende domani, su tutta la terra, il cuore di tutti gli uomini di buona volontà, per la salvezza e la redenzione del mondo. Ritornando tra poco alle vostre case vogliate portare alle vostre madri, alle vostre spose, ai vostri figli la speranza in un destino più alto e più lieto, il sereno conforto di una parola di amore e di pace. Con la pienezza di questi sentimenti mi è caro augurare a voi tutti e ai vostri cari qui vicini o in terre lontane, Buon Natale e Buon Anno Nuovo”. Parole che, lette oggi, sembrano quasi profetiche, perché Giovanni XXIII, nel suo famoso discorso, così detto “alla luna”, ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in occasione dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’11 ottobre 1962, sette anni più tardi, esprimerà concetti analoghi: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona…” Tagliando questi due paragrafi e terminando il discorso con il paragrafo precedente a questi, pur pieno di sentimento: “In quest’epoca l’ansioso desiderio di rinnovamento e di salvezza raggiunge una più grande intensità, onde la luce di un’epoca nuova, per un ordine più giusto e più umano, si accende ancor sempre dietro la Croce che rimane pur sempre l’asse immobile intorno al quale ruota la storia”, la chiusura rimane come sospesa. Vengono a mancare i dovuti auguri e saluti ai lavoratori con quella bellissima comunanza di pensiero con il futuro Pontefice. Comunanza che non può essere la ragione del taglio, il Pontefice pronuncerà queste parole ben due anni dopo a questa prima edizione. Ci si può smarrire in un sacco di ipotesi, ma potrebbe anche semplicemente essere che la copia in mano all’editore fosse mancante dei paragrafi finali. Ragione di più per riportare il discorso all’originale di Adriano.
[1] Vedi: A. Olivetti, Messaggio dell’ing. Adriano ai dipendenti e all’Organizzazione, in «Notizie Olivetti», n. 33, gennaio 1956, pp. 2-6. [2] http://spilleoro.altervista.org/index_file/Page1538.htm [3] G. Silmo, Olivetti. Una Storia Breve, Ivrea 2017, pp. 180-181. [4] Ibidem, p. 199. [5] Vedi G. Silmo, Olivetti e l’Elettronica. Una storia esemplare, op. cit., pp.25 – 49; G. Silmo, Olivetti. Una Storia Breve, op. cit., pp. 180-199. [6] A. Olivetti, Ai lavoratori di Ivrea, in Città dell’uomo, Milano 1960, p. 175. [7] Fino all’uscita del libro Olivetti e l’Elettronica vi era un unico riferimento: poche righe di opinioni più che di fatti, in gran parte contraddette da altre fonti. Dopo l’uscita del libro, è stato in parte modificato facendo riferimento al libro e all’intervista di Michele Canepa in esso riportata. Vedi: https://www.storiaolivetti.it/articolo/24-i-laboratori-della-ricerca-elettronica-da-new-c/ [8] B. Caizzi, Camillo e Adriano Olivetti, op. cit., p. 248. [9] G. Silmo, Olivetti e l’Elettronica. Una storia esemplare, op. cit. [10] La testimonianza di Caglieris è riproposta integralmente, con aggiunta di alcuni documenti e scritti, sempre forniti da Caglieris, in G. Silmo, Olivetti. Una Storia Breve, op. cit. [11] Conversazione dell’autore, con Mario Caglieris del 30 marzo 2009, nei locali della Rappresentanza di Fabbrica Olivetti a Palazzo Uffici in Ivrea. [12] M. Caglieris, OLIVETTI Addio. Un sogno premonitore, Ivrea 2008, p. 18. [13] La testimonianza si trova in Olivetti e l’Elettronica. Una storia esemplare ed è riportata integralmente in Olivetti. Una Storia Breve. [14] G. Silmo, Olivetti. Una Storia Breve, pp. 183-184. [15] Ibidem, p. 183. [16] A. Olivetti, Messaggio dell’ing. Adriano ai dipendenti dell’Organizzazione, in Un discorso di Adriano Olivetti ai dipendenti. Analisi del testo: dal profitto come valore al valore come profitto, con analisi semiotica del discorso di L. Gino, Osimo 2008, p. 9. [17] https://www.calameo.com/books/00016400484b8dc02ca6c
Bene ha fatto Giuseppe Silmo, profondo indagatore di cose olivettiane oltre che prolifico autore, a mettere in evidenza la storia delle righe di piombo scomparse dal testo del discorso natalizio di Adriano del 1955. Ma l’argomento qui sollevato è molto più ampio di quello che potrebbe essere considerato un incidente di percorso nelle mutazioni del testo. Riguarda la famiglia Olivetti, in cui la figura di Adriano ha coperto nella narrazione storica quella di altri protagonisti come il fratello Dino e il figlio Roberto, ma anche le autonomie decisionali e i processi di valutazione e controllo dei gruppi di progetto. Tali argomenti sono ovviamente dettagliati e discussi nei libri citati in bibliografia [5]. Credo valga la pena di leggere anche l’interessante articolo di Corrado Bonfanti, appassionato studioso di storia olivettiana recentemente scomparso, uscito sulla rivista di AICA Mondo Digitale del dicembre 2019. Il capitolo 4, Un salto a New Canaan, riprende lo stesso tema e si apre con una frase significativa: “Nella storia dell’elettronica Olivetti, oltre alla Olivetti-Bull, esiste un altro antecedente che ha avuto scarsa influenza sul corso principale degli eventi ma che aiuta a mettere a fuoco sia la marcata tendenza all’incomunicabilità che vigeva tra i diversi settori dell’azienda, sia le conseguenze dei non certo sereni rapporti tra i membri della famiglia.” Chi ha vissuto l’accorpamento dei gruppi di progetto nella R&S di Perotto dopo la cessione della Divisione Elettronica ne sa qualcosa! Per non parlare della Not-Invented-Here Syndrome che ha affossato molte delle acquisizioni degli anni successivi, in gran parte frutto delle idee innovative di Piol.
Interessante pezzo dell’amico Giuseppe Silmo. Interessante perché racconta episodi di una storia poco conosciuta e che però ha avuto importanza nello sviluppo del settore e nella storia dell’azienda ed anche perché indirettamente mette il dito su una piaga dell’azienda e cioè sulla esistenza della lobby eporediese. Una lobby che lo stesso Adriano riconosceva e forse temeva al punto di ritenere di doverla rassicurare che l’innovazione che l’azienda aveva programmato non avrebbe turbato il potere e il ruolo di questa lobby fatta dai dirigenti di produzione e di ricerca ed anche di settori amministrativi e commerciali. Sino a quando Adriano è stato vivo la lobby era moderatamente dormiente a causa del carisma e della leadership di Adriano, dopo la sua morte le lotte furono tante e la conflittualità costante al punto da influire anche sull’alta dirigenza, forse con l’eccezione del periodo Beltrami-Bellisario. Questa lobby ha giocato un ruolo fondamentale nella decadenza della azienda e anche sulla sua fine. Ricordo solo una cosa non completamente chiara e cioè il ruolo che ha avuto nella vendita della Divisione Elettronica alla General Electric, formalmente presa da Vittorio Valletta della Fiat. Un periodo, una storia, anzi più storie intrecciate poco scoperte nelle biografie dei protagonisti dell’azienda e nella storia della stessa azienda.
Non ho sufficiente esperienza storica per entrare nella materia con credibilità e attendibilità, ma l’ “operazione Silmo” mi sembra di grande interesse e inoltre trasuda passione da tutti i pori, oltre che essere adeguatamente documentata.
Mi pare che Giuseppe sia maturo per una nuova fatica letteraria, alla quale credo che in tanti saremmo lieti di dare il nostro contributo.
Io, che amo definirmi, guardando gli anni della mia permanenza in azienda, “olivettiano della seconda ora”, sono però un olivettiano di ferro. Che, come tutti sanno, crede che qualcosa di buono c’è stato anche dopo Adriano.
C’è peraltro da chiedersi, magari con rammarico, se si troverebbero… i 25 lettori di manzoniana memoria disposti a leggere la eventuale nuova fatica letteraria di Giuseppe.
Il latte ormai è stato versato e ricordarlo dovrebbe servire, più che a prorompere nel proverbiale pianto, a evitare nelle prossime occasioni che si versi. Questo mi pare che da molte parti si stia facendo.
Quello che dicono gli amici Mauro e Gianni è sacrosanto. Ma in particolare, quanto alle vere o presunte lobby eporediesi, quale azienda di successo e di dimensioni notevoli è esente da lobby?