Pensieri per un dibattito di Gianni Di Quattro
Sono in pensione, fuori da qualsiasi gioco, sono ormai lontano dalla conoscenza del mercato. Dico dal modo di come qualsiasi mercato funziona, non solo quello che era il mercato della Olivetti, il nostro mercato, quello della automazione e della organizzazione. Però cerco di mantenere la mente ancora curiosa, di capire quello che succede e, se posso, capire perché succede. Ed ho capito alcune cose, almeno credo, vediamo che ne pensate!
Le aziende fanno fatica a reperire personale, soprattutto personale capace e quando lo trovano il rischio che le persone trovate ed inserite si dimettano è parecchio alto. Perché oggi pare sia cambiato il rapporto vita lavoro a favore della prima, mentre prima era a favore del secondo. Pare che contino di più rispetto a prima, sono cioè fondamentali, i servizi che le aziende mettono a disposizione, la formazione continua, la responsabilità e autonomia del lavoro affidato, gli ambienti degli uffici, il modo di partecipare alle finalità della impresa, la possibilità di avere tempo per la propria vita.
Altri temi che rappresentano motivi per lavorare e rimanere in una impresa che mi pare di avere recepito sono i seguenti: il pensiero dell’azienda rispetto ai temi ecologici, la posizione culturale della stessa sul mercato, il prestigio che rappresenta il valore indotto che si può avere lavorando per quella determinata impresa, la qualità dell’imprenditore o degli azionisti dell’impresa, infine la posizione della impresa rispetto al territorio in cui vive e il suo rapporto con le regole del paese. Naturalmente ci sono tante altre cose che sono considerate oggi soprattutto dai giovani: gli investimenti aziendali verso il futuro, il trattamento anche retributivo del personale, i contatti internazionali.
Trovo, dunque, che il mercato è in generale cambiato e che i giovani hanno un approccio diverso, molto diverso rispetto alle generazioni precedenti. Ma chissà perché continuo a pensare che molti degli elementi che sopra sono indicati già a partire dagli anni 50 del secolo scorso erano attivi, presenti nella Olivetti di Adriano. Quella Olivetti che il mondo politico, economico, industriale dell’epoca combatteva perché troppo innovativa e pericolosa per il paese.
Caro Gianni,
Non riesco a fare commenti perché ho un problema di credenziali non riconosciute, mi affido a questo canale per dire che ancora una volta hai visto giusto, analisi perfetta rispondente alla realtà dei giovani di oggi (relativamente al lavoro)
Un saluto cordiale
Vincenzo
Vincenzo, nemmeno l’amministratore può conoscere la tua password. Ho inserito il tuo commento inviato via mail e poi cancellata la tua registrazione in modo che tu possa registrarti nuovamente; segnati la password … alla nostra età non possiamo fidarci troppo della memoria! ……..
Ciao Gianni,
a proposito di “Nuove Frontiere dell’Impresa”, di cui ti ringrazio per il tuo stimolo a rivedere con grande interesse il nostro passato, vorrei avere da te o dagli altri lettori qualche notizia su cosa è rimasto oggi dell’Olivetti.
Ho letto alcuni giorni fa una notizia che l’Olivetti, e quello che resta in mano al gruppo TIM, con una recente modifica societaria nell’ambito del gruppo TIM è diventata una “società benefit” con lo scopo di “operare in modo sostenibile nell’interesse della collettività”. Cosa vuol dire?
Mi risulta che ci sono altre realtà con il nome “Olivetti” che sono ancora ad Ivrea o altrove.
Mi piacerebbe saperne qualcosa di più.
Grazie a quanti vorranno contribuire con qualche recente notizia.
Gian Carlo Zenere
caro Gian Carlo, ho letto anche io che Telecom Italia ha deciso di chiudere le attività della Olivetti di sua proprietà per trasformarla in una struttura di benefit. evidentemente la Olivetti non era interessante e profittevole. cercava di vendere ancora qualche prodotto per ufficio che comprava nei paesi asiatici a qualche concessionario rimasto ma era una cosa che non aveva più senso. non mi risulta che ci siano altre organizzazioni Olivetti che operano sul mercato. ci sono associazioni di ex dipendenti come questa in cui siamo, c’è l’archivio storico, c’è la Fondazione……ma poi tutto è ormai finito!
Cari Gianni e Giancarlo, mi inserisco per un contributo. Non conosco la situazione dell’attuale Olivetti, ma credo che la dichiarazione di “Società Benefit” non significhi diventare una realtà del “Terzo Settore”, cioè senza scopo di lucro, ma piuttosto recepire nel proprio statuto scopi allargati, connessi con obiettivi di sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) ved. https://www.societabenefit.net
Obiettivo direi in linea con l’eredità di Adriano.
Una BCorp invece è una Società Benefit che in più si sottopone ad Audit su parmetri non economici per ottenerne certificazione.
Un saluto.
Daniel Moclo
Caro Gianni, lascia prima di tutto che ti ringrazi per gli articoli che pubblichi e per gli stimoli che ci dai. Grazie.
Sono d’accordo con le tue asserzioni relative alle nuove esigenze/priorità dei giovani in cerca di lavoro e al conseguente cambiamento di alcune imprese.
Sebbene questo sia un fenomeno generazionale innegabile, sarei cauto ad indicarlo come elemento tendenziale.
Penso che oggi il problema principale sia quello di trovare lavoro e, tu mi insegni che in un mercato fortemente sbilanciato dove la domanda è estremamente superiore all’offerta, chi cerca lavoro, nella stragrande probabilità dei casi, è disposto a metter da parte tutte le sue esigenze pur di lavorare.
Ovviamente ci sono delle isole felici in cui impresa e lavoratore si incontrano con reciproca soddisfazione, ma io credo che queste siano delle eccezioni.
Per spiegarmi meglio devo citare alcuni dati relativi al mercato del lavoro come lo vedo io:
L’Italia ha un PIL che non cresce da 20 anni (1.800 mld IT, 2.500 mld FR, 3.600 mld Germ).
La spesa pubblica è di 800 mld e le entrate di 600 mld, il debito di 2.700 mld, tutto questo limita estremamente investimenti e sviluppo.
I disoccupati sono 2 milioni (25% giovani 15/24 anni) + 12 milioni gli inattivi, gli occupati 23 milioni, i cassaintegrati 9 milioni.
Negli ultimi 20 anni 35.000 aziende hanno delocalizzato le loro attività all’estero (nel 45% dei casi è stata delocalizzata l’attività principale). Senza contare le acquisizioni/JV di società italiane fatte da società straniere che hanno comportato ridimensionamenti di organico per sinergie, ottimizzazioni, economie di scala ecc.
Detto questo, capirai che pur essendo d’accordo con le tue affermazioni, lo sono solo in parte minima e penso che il problema del lavoro sia un altro.
Comunque grazie per lo stimolo.
Ciao – Enzo
PS : non sono mai stato un sindacalista
Sono considerazioni molto interessanti. Personalmente, sono molto vicino alla seconda parte delle considerazioni evidenziate da Gianni Di Quattro e credo che un’azienda con una missione ben definita, con un progetto per il futuro, attiva su tematiche nuove e che investe su queste possa essere interessante anche per i giovani attuali. Mi domando però se questo è ancora disponibile in un paese come il nostro dove le grandi aziende sono quasi scomparse, sono proliferate le piccole e medie aziende, importanti per il tessuto produttivo nazionale, ma che forse non possono offrire tutto questo ai giovani. Le aziende di oggi poi, forse, non promettono nemmeno di essere quell’ascensore sociale che era ben rappresentato e realizzato dalle aziende di una volta (l’Olivetti era anche questo). Le Aziende hanno perso di peso e i giovani partono da un livello più alto, viene a mancare un elemento motivazionale importante.
Buon anno a tutti e grazie per le sempre acute riflessioni, fonte di stimolo per guardare al passato con lo sguardo rivolto al futuro. Per ciò che riguarda il lavoro, c’è da dire che nel tempo ha perso la sua centralità, non solo per un diverso atteggiamento dei giovani, ma anche per la diversa collocazione nella dimensione “sociale”, che aveva raggiunto il suo apice negli anni ’70 del secolo scorso. Oltre alla deindustrializzazione e allo scenario che emerge dai dati snocciolati da Enzo Biandrino, che illustrano la cruda realtà della situazione italiana, occorre evidenziare intanto che le imprese (quelle che sono rimaste) hanno perso il loro ruolo propulsivo territoriale, così come lo intendeva Adriano Olivetti. Inoltre, con la perdita della “manifattura” (e conseguentemente della ricerca e dell’innovazione di prodotto) c’èstato anche una perdita di qualità. Se e’ pur vero che il futuro è nei Servizi (come si predica ormai da decenni), allora si dovrebbe puntare decisamente su questi, in modo coerente con le nostre attitudini e risorse ma soprattutto, con un alto profilo. Oggi il mercato del lavoro e’ molto frammentato, per certi versi de-specializzato (non a caso continuiamo ad assistere alla fuga di cervelli all’estero), spesso fatto di richieste di lavoro di scarsa qualità, a volte stagionalizzato e in settori a basso valore aggiunto. Senza nulla togliere alla dignità di ciascun tipo di lavoro, ci sarebbe prima dell’Impresa, da fare un ripensamento sul tipo di società che vogliamo.
Caro Gianni
le tue parole, sempre opportune, sollecitano risposte.
Certamente Adriano Olivetti è stato osteggiato in vita da molti avversari, cominciando dai grandi partiti di massa degli anni ’50.
Certamente da presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) sostenne l’assoluta necessità di una riforma urbanistica che sostituisse quella del 1942.
Nel 1962 (due anni dopo la sua morte) il ministro Fiorentino Sullo presentò una legge, in linea con l’INU e con quanto si andava facendo in Europa, per frenare la speculazione e per avere il potere di controllo dei piani regolatori dei Comuni.
La proposta fu avversata, il partito di Sullo si dissociò dalla proposta del proprio ministro e ‘le mani sulla città’ ebbero il sopravvento.
Cos’è rimasto dell’Olivetti?
A chi me lo chiede (amici dei figli, amici pensionati e non solo gli ex colleghi di lavoro ecc.) rispondo che la Olivetti è dal 2018 è patrimonio culturale dell’umanità, dove io/ noi abbiamo lavorato per molti anni
‘Si ma oggi la gente…’
La gente in generale non interessa .
Sono interessanti le persone con le quali parlare e cominciando col chiedere se hanno mai sentito parlare di un industriale che si occupava di urbanistica, che non avere il guadagno personale come obiettivo, che aveva tra gli obiettivi la difesa del territorio e dell’identità culturale dei luoghi, che considerava l’accrescimento del benessere collettivo e la diffusione della cultura come scopi da perseguire ecc.
In altre parole cerco di parlare di Olivetti come di un patrimonio culturale dell’umanità e proverei A spiegare il perché, cominciando dalle persone giovani: studenti e laureandi..
Per informazioni su Uneso e Olivetti i siti sono: https://www.unesco.it/it/patrimoniomondiale/detail/543 https://whc.unesco.org/en/list/1538
Ciao Gianni, cari saluti a tutti
Galileo Dallolio
Aggiungo che da ieri ognuno di noi ha disposizione uno strumento nuovo per parlare di Olivetti. Paolo Rebaudengo ha trovato una teca Rai del 1960 con un’intervista ad Adriano 20 giorni prima della sua morte. Questa è la lettera che anticipa alcuni aspetti dell’intervista:
“Care amiche e cari amici,
nel febbraio 1960 arrivò a Ivrea il filosofo Emilio Garroni, inviato dalla RAI per far conoscere Adriano Olivetti agli italiani. Mancavano pochi giorni alla tragica improvvisa morte di Adriano, colto da una trombosi cerebrale su un treno diretto a Losanna.
Garroni ne fece un ritratto che verrà trasmesso dopo la morte.
Arrivò a Ivrea da Torino, attraversando la campagna coperta dalla neve, su un treno con locomotiva a vapore, la linea era ancora gestita dal genio militare,
lo resterà sino agli anni ’70. Adriano lo accoglie nel corso di una assemblea del centro comunitario di Ivrea che lui stesso presiede. Prima di fargli visitare la fabbrica vuole fargli vedere la biblioteca centrale, aperta a tutti i cittadini, con oltre 50.000 volumi e centinaia di riviste, e spiegargliene le attività.
Nel 1960 la Olivetti era diventata, grazie ad Adriano, un colosso industriale con 35.000 dipendenti e una presenza in tutto il mondo.
Adriano non aveva però accumulato alcuna ricchezza personale e non sfoggiava alcun simbolo di potere. Nel documentario che vi invio vedrete un uomo mite, dal modo di fare semplice.
A Ivrea è in corso il tradizionale carnevale, Adriano lo illustra a Garroni e, incontrando uno dei personaggi più importanti, con il costume da generale, glielo presenta togliendosi per rispetto il cappello. Dopo tante letture e discussioni su Adriano Olivetti, mi è sembrato potesse piacervi vederlo e sentire la sua voce, e vedere Ivrea di settant’anni fa.
Un cordiale saluto Paolo Rebaudengo, presidente Olivettiana APS
https://www.teche.rai.it/2021/04/ritratti-contemporanei-1961-adriano-olivetti/
Gianni è sempre quello che ha la voglia e il coraggio di lanciare il sasso, ma… non ritira neanche la mano! Bravo!
Anzi tutto Daniel Molco mi ha preceduto correggendo la visione delle società benefit. Correzione importante per mettere nella giusta luce la notizia riguardante l’attuale Olivetti, ma che nulla toglie comunque alle tristi considerazioni sulla fine di un’azienda la Olivetti oggi mantiene solo un nome ed è in sostanza poco più di un marchio.
Un marchio peraltro su cui TIM fa leva per la sua immagine. Rispetto alle zero notizie sull’attività, del resto ormai solo commerciale, di Olivetti, siamo infatti riempiti di notizie sull’attività dell’Associazione Archivio Storico, peraltro non solo di carattere nostalgico.
Quello che tutti insieme dovremmo cercare di fare è trasformare i ricordi, i racconti, le filosofie, le narrazioni come si dice oggi, in altrettanti stimoli, suggerimenti, idee, esempi per i nostri contemporanei, in particolare i giovani.
Dovremmo prevenire la facile accusa che i tempi sono cambiati, che certe cose non sono più proponibili ecc., puntando sulla trasmissione appunto dello spirito, del progetto d’impresa.
Sotto questo profilo sarei un po’ meno rassegnato di Enzo Biandrino, che pure dice anche molte cose giuste.
Leggo in questo articolo i bei “Pensieri…”: …motivi per lavorare e rimanere in una impresa che mi pare di avere recepito sono i seguenti:
– il pensiero dell’azienda rispetto ai temi ecologici,
– la posizione culturale della stessa sul mercato,
– il prestigio che rappresenta il valore indotto che si può avere lavorando per quella determinata impresa,
– la qualità dell’imprenditore o degli azionisti dell’impresa,
– infine la posizione della impresa rispetto al territorio in cui vive e il suo rapporto con le regole del paese.
Naturalmente ci sono tante altre cose che sono considerate oggi soprattutto dai giovani: gli investimenti aziendali verso il futuro, il trattamento anche retributivo del personale, i contatti internazionali.
Dato che sono “cronicamente positivo” penso che ci siano buone aziende attive anche oggi 🙂
Olivetti non è stata l’unica con questi valori: ad esempio, Ericsson per cui ho lavorato in seguito, nata in Svezia ed ancora attiva nel turbolento mondo delle telecom, ha avuto tantissime similitudini. Lars Magnus Ericsson si mise a far produrre avvolti in rame (altoparlanti per microtelefoni) ed altri componenti per dare occupazione locale in varie città nella sua fredda nazione.
Qua una breve storia del fondatore> https://www.ericsson.com/en/about-us/history/people/presidents/lars-magnus-ericsson-1876-1900
E mia figlia lavora oggi in una azienda che per i valori sopra indicati somiglia molto ai migliori momenti della “nostra” Olivetti, anche per l’innovazione, una b-corp che diventerà una benefit corporation come vengono chiamate oggi: https://davinesgroup.com/il-nostro-impatto/essere-b-corp
E non sono poche le B-corp in Italia. Anche l’assicurazione della mia auto elettrica è già una benefit corporation> https://bcorporation.eu/country_partner/italy-it/