di Gianni Di Quattro
Quando diciamo clima si intende principalmente quello meteorologico, che tempo c’è, che tempo farà, il caldo o il freddo, la pioggia o il sole, l’azzurro o il grigio delle nuvole. Ormai siamo abituati a guardarlo il meteo, così sappiamo come dobbiamo vestirci, se possiamo uscire e come, se possiamo organizzare qualcosa. Naturalmente ci sono quelli che lo guardano perché il loro lavoro dipende dal meteo e ci sono quelli che comunque escono sempre con l’ombrello, come gli inglesi. In altri termini, quando diciamo clima intendiamo l’ambiente in cui siamo, le condizioni di questo ambiente.
Per questo la parola clima si usa anche per connotare l’ambiente in cui siamo, in cui lavoriamo, e non solo per le condizioni atmosferiche, ma per il modo che questo ambiente ci consente di vivere, risponde alle nostre esigenze e speranze di qualità della vita. Non sempre si riesce a vivere dove è gradevole e bello vivere, spesso capita a tanti di vivere dove è faticoso e tuttavia lo si accetta per potere avere i mezzi per vivere.
Il clima spesso è accoppiato alla parola azienda, si dice clima aziendale, per indicare come si vive in una determinata azienda, il rapporto con i capi, la responsabilità del lavoro da compiere, le relazioni con i colleghi di tutti i livelli, i servizi disponibili, la comprensione delle esigenze del lavoratore, la bellezza del posto di lavoro, la qualità dell’ambiente in poche parole, cioè il clima aziendale.
La Olivetti è l’azienda in cui io e tanti di noi, proprio tanti, abbiamo lavorato e svolto gran parte della nostra vita professionale e umana. Ecco, la Olivetti era nella sua epoca l’azienda che aveva il clima interno migliore, tutti abbiamo lavorato in ambienti belli in mezzo a belle cose, anche gli operai con la luminosità degli stabilimenti da dove alzando gli occhi si potevano scorgere le montagne, tutti abbiamo avvertito il respiro culturale che c’era nell’azienda, abbiamo visto la bellezza delle cose che si facevano o che si utilizzavano, abbiamo imparato a vivere e lavorare, siamo stati circondati da persone umanamente belle perché la selezione delle persone teneva conto anche della umanità di chi entrava e non solo delle sue capacità o predisposizioni a fare.
La conclusione è che avere lavorato in Olivetti è stato comunque un privilegio certamente professionale, ma soprattutto umano. Quei valori che abbiamo conosciuto e che ci hanno guidato nella nostra vita di lavoro ora stanno tornando, se ne riparla, i giovani cominciano a capire che devono inseguire non solamente il successo ma anche e forse di più la qualità della vita. E per chi osserva questo fenomeno, questi pensieri che attraversano la società e che molti giovani come molte aziende stanno adottando, aumenta l’orgoglio di averlo capito e vissuto tutto ciò, aumenta la certezza di avere fatto, in modo consapevole o meno, le scelte giuste nella propria vita.
Dal mio punto di vista…averlo vissuto per solo 10 anni…dal 1987 al 1998 posso rafforzare questo pensiero che riprendo: la conclusione è che avere lavorato in Olivetti è stato un privilegio professionale e umano unico….che successivamente mi sono portato nelle successive esperienze lavorative ed ho applicato nel mio ambito lavorativo.
Caro Maurizio, a conferma di quanto riporti, io invece ricordo il tuo primo giorno di lavoro a Roma nella sede di via Visconti e soprattutto del tuo incontro improvviso con Pierluigi Bonanate, solo lui presente in ufficio a quell’ora, che mi chiamò per dirmi che aveva incontrato nel tardo pomeriggio un giovane che si aggirava nei corridoi della filiale e mi parlò di te, senza conoscerti, dicendomi: Mario, curalo bene che questo ragazzo ha talento! Ti valutò così per come ti eri presentato, o meglio nel chiedere, tu a lui ,di presentarsi a te!!! In altre aziende i manager ti avrebbero “marcato” negativamente all’istante. Ciao
Caro Acierno, ti ricordi di me ? un caro saluto.
Caro Gianni, ho letto la tua riflessione sul “Clima”.
Ad un certo punto tu scrivi:
“[…] la parola clima si usa anche per connotare l’ambiente in cui siamo, in cui lavoriamo […] non sempre si riesce a vivere dove è gradevole e bello vivere, spesso capita a tanti di vivere dove è faticoso e tuttavia lo si accetta per potere avere i mezzi per vivere.”
Mi spiace apprendere che in Olivetti possano esserci stati colleghi che hanno soffocato la loro personalità, sopportando, a denti stretti e con sofferenza, il “clima” malsano nel quale svolgevano la loro attività professionale (tu dici) “per potere avere i mezzi per vivere.”
In Olivetti, dal 1978, anno in cui e arrivato il finanziere Carlo De Benedetti, tutto è cambiato in peggio per i lavoratori, rispetto agli anni adrianei.
Ricordo che, in quegli anni, coloro i quali avevano professionalità e libertà di prendere iniziative autonome, sono andati via, approdando in altri lidi più consoni al loro carattere e personalità, e nei quali lidi ci fosse un “clima” gradevole. Io sono andato via, dalla Olivetti di De Benedetti, nel 1983.
Caro Gianni, hai descritto con la consueta efficacia il privilegio professionale e umano e il clima vissuto da chi ha lavorato in Olivetti.
Non possiamo dimenticare che tutto questo ha avuto origine da un’idea, da un progetto che aveva nell’idea di Comunità la sua centralità.
Adriano è arrivato a definirlo nel suo ‘L’ordine politico della Comunità’ dopo un processo lungo, avviato sia dalle sue riflessioni anche spirituali che dal bisogno di immaginare una vita diversa per l’impresa e per la società, dopo il disastro della guerra.
E’ un processo che merita studi e approfondimenti e che l’Unesco ha scelto per dichiarare Ivrea Città Industriale del 20 ° secolo Patrimonio dell’Umanità riconoscendo l’originalità e la ricchezza della sua visione. Sul clima e sull’ambiente aggiungo una riflessione sugli ‘assets immateriali’ che ognuno di noi ha trovato in Olivetti.
‘Assets’ nel linguaggio economico-finanziario, significa ‘beni, proprietà, patrimonio..’ e deriva dal latino ‘ad satis’ da cui hanno origine le parole italiane ‘abbastanza’ e ‘assai’ con il significato di cose che soddisfano le esigenze materiali, ad esempio , dell’investitore e dell’amministratore.
E gli ‘assets’ immateriali? Se ci pensiamo la stragrande maggioranza di chi ha lavorato in Olivetti li ricorda e quando ha l’occasione li fa conoscere.
Stiamo conoscendo in Olivettiana, dei nuovi pubblici che ci chiedono l’origine di questo clima aziendale, di questi rapporti umani interni ed esterni , di questa creatività e inventiva collettiva per uscire da situazioni critiche o per affrontare problemi con notevoli apporti personali.
Tutte questioni che si fanno ascoltare e che possono avviare pensieri nuovi in chi ascolta.
Concludo con un’informazione un po’ sorprendente: l’editore per ragazzi EL (gruppo di prestigiose collane tra le quali Einaudi) ha in catalogo per lettori da 7 anni in su Adriano Olivetti l’indusriale del popolo (illustrato).
Cari saluti
Galileo