di Gianni Di Quattro

Dopo la morte di Adriano (febbraio 60) e dopo un primo periodo molto formale e di emergenza di Giuseppe Pero, storico responsabile amministrativo ai tempi di Camillo, e dopo un altrettanto breve periodo di transizione di Roberto Olivetti in attesa dell’ingresso e delle decisioni del gruppo di intervento, costituito da Fiat (la voce più forte), Pirelli, Generali, Banca d’Italia, Iri, inizia la nuova era per la Olivetti. La nuova era, il nuovo corso Olivetti inizia con la nomina di Bruno Visentini come Presidente e Aurelio Peccei come amministratore delegato. Siamo agli inizi degli anni 60. Tutti aspettano pieni di curiosità per vedere cosa succederà alla Olivetti, i dipendenti, il sistema industriale e quello politico del paese, molti osservatori internazionali, clienti e fornitori, tutti insomma.

Appena nominato, Bruno Visentini dimostra di avere il vero potere in mano; rappresenta il gruppo di intervento, perlomeno buona parte di esso, e tutta la famiglia che detiene la maggioranza. Aurelio Peccei è uomo di cultura, è stato, fra l’altro, quello del Trattato di Roma, era Presidente della Fiat Argentina prima di venire alla Olivetti. Appena arrivato in un tempo molto breve e dimostrando particolare acume si rese conto della situazione. Una lobby eporediese forte che condizionava l’azienda, non accettava suggerimenti e vedeva malvolentieri eventuali ordini, che rappresentava un macigno e Peccei capì che sarebbe stata condizionante per il futuro. La lobby esisteva anche sotto Adriano, ma il carisma e la leadership di quest’ultimo l’avevano sempre tenuta acquietata. Peccei intuì subito la presunzione dell’apparato di Ivrea dedicato alla progettazione e produzione che vantava i successi nella meccanica, per la verità notevoli, come una grande e pesante medaglia e una influenza sugli altri apparati di direzione. Formulò un progetto che prevedeva il trasferimento della Direzione Generale a Milano proprio per svincolarla da situazioni di influenza, portarla comunque più vicina al mercato e nello stesso tempo creare per la prima volta una Direzione Marketing e una attività di product planning collocata dentro al marketing per cercare di canalizzare gli input verso la parte tecnica e affidando tutto a Elserino Piol.

Ma Aurelio Peccei non riuscì (a parte la creazione del Marketing con Piol) perché Visentini lo fece fuori e lo sostituì con una coppia di amministratori delegati e cioè Roberto Olivetti e Bruno Jarach, responsabile degli acquisti della produzione, uomo della comunità israelitica milanese, legato a tutta la lobby eporediese. I due erano a firme congiunte nel senso che nessuno dei due godeva di autonomia; l’interpretazione più diffusa è che Visentini abbia voluto controllare Roberto Olivetti che sarebbe stato il vero erede in tutti i sensi del padre Adriano. Un grande peccato per la Olivetti. Mentre succedeva questo la Olivetti vendeva per un tozzo di pane la Divisione Elettronica, secondo i desiderata, pare, del gruppo di intervento e specialmente della Fiat e del suo amministratore delegato di allora e cioè Vittorio Valletta. Nessuna protesta nel paese, né della politica, né dei sindacati, né dei media e di altri analisti. Mille impianti circa, un cassetto pieno di progetti, tante risorse umane preziose sono andate via.

Produzione P101 ad Harrisburg  (AASO)

Sono stati anni difficili, si respirava ancora una certa aria di Adriano soprattutto nello stile e in una certa eleganza. Roberto Olivetti era riuscito a inserire in azienda un gruppo che si occupava di progettazione elettronica sottratto al laboratorio di ricerche della Divisione Elettronica che era passato alla General Electric (si motivò l’operazione sostenendo che la piccola elettronica non interessava la grande azienda americana), gruppo affidato a Pier Giorgio Perotto che era visto con il fumo negli  occhi, osteggiato da tutto il resto della progettazione Olivetti tutta praticamente meccanica. L’azienda era immobile, non si rilevavano iniziative di rilievo, la sensazione era che ci sarebbe stato bisogno di iniziativa e, soprattutto, di coraggio. Malgrado quest’aria, in questo periodo fu progettata e prodotta la Programma 101, che ora tutti dicono essere stato il primo personal computer nel mondo ma che allora dalla Olivetti non fu veramente capito; si fece poco per la formazione, poco per lo sviluppo applicativo, poco per la promozione. La lobby eporediese la relegò nella lista dei prodotti speciali, temeva che potesse danneggiare qualche altro prodotto e soprattutto condizionare lo sviluppo della progettazione meccanica del calcolo. Fu considerata fuori dalle tradizioni della azienda e progettata da un clandestino (Perotto appunto) rispetto alla lobby. Infatti, negli stessi anni e mentre il mercato era invaso dalle calcolatrici elettroniche giapponesi di ampie prestazioni e di basso costo, Ivrea progettava e produceva una macchina calcolatrice meccanica mostruosa che si chiamava Logos 27 e che era costosa per la produzione, per la manutenzione, per la vendita, per il cliente, pesante e lentissima. Un flop grande, una perdita di denaro e di mercato.

Intanto l’operazione Underwood non si muoveva, si nominò Presidente Gianluigi Gabetti che conosceva il mercato e che sapeva aggiustare i conti, ma che era un finanziere e non uno stratega di mercato. Fu fatto fuori Ugo Galassi, che vi era stato inviato da Adriano e che era l’artefice del pensiero metodologico e organizzativo del successo commerciale Olivetti, per trasferirlo a Ivrea con l’incarico di direttore della produzione. Tutti ci videro un modo per farlo fuori anche perché negli anni precedenti, con Adriano che lo sosteneva, aveva tanto discusso con Ivrea e oscurato personaggi di rilievo. Così fu infatti; Galassi per un po’ cercò di dare una mano, di capire cosa stava succedendo e poi lasciò per andare a fare l’amministratore delegato della Riello. La vendita della Divisione Elettronica cominciava a farsi sentire, i grandi clienti italiani e non solo percepivano che la visione del futuro Olivetti era stata mutilata, l’elettronica invadeva il mercato non solo dal Giappone e Ivrea si continuava a gingillare con la meccanica. Roberto Olivetti cercò di fare il possibile, potenziando i sistemi informativi centrali e cercando di coordinarli con quelli esistenti in tutte le consociate anche per perseguire un po’ di compatibilità applicativa e tecnologica, dando spazio al marketing, alle relazioni e alla pubblicità, con la sua educazione, competenza e professionalità cercando di ottenere dalla parte tecnica più disponibilità, più vicinanza al mercato, tutte le volte bloccato da Bruno Jarach, che era là appositamente. Nel frattempo il Presidente Visentini stava a guardare.

I conti peggioravano perché l’azienda non avanzava, gli artefici del successo di Adriano piano piano venivano messi da parte, la lobby eporediese era il riferimento, i prodotti erano obsoleti, le nuove tecnologie erano viste con sospetto, gli investimenti erano fermi, l’azienda dava la sensazione di essere ancora una bella signora ma invecchiata che cercava di dimostrare di essere giovane mentre non lo era ed anzi spesso era patetica; gli anni passavano e la Olivetti perdeva mercato, fiducia, credibilità. Il personale respirava questa strana aria sperando che prima o dopo si aprissero le finestre per fare entrare altra aria perché quella che c’era stava finendo ed era anche stantia.

Ottorino Beltrami (1917-2013)

Così finalmente il Presidente Visentini si decise a dare retta ai suggerimenti che gli arrivavano dai consulenti, dalle banche, forse da qualche suo collaboratore (sottolineo forse) e decise di cambiare gli amministratori. Ne parlò con gli azionisti, preparò il consiglio, cercò la persona e decise di aderire al suggerimento che gli arrivava da più parti e cioè di chiamare Ottorino Beltrami. Costui, ex personaggio di rilievo della Marina, assunto da Adriano, direttore generale prima della Olivetti Bull e poi della Divisione Elettronica, amministratore delegato della Olivetti General Electric prima di lasciare e di diventare direttore generale della Finmeccanica (oggi Leonardo) e poi Presidente della Sip.

Beltrami accettò ma disse di no a Visentini quando questi gli propose di condividere l’incarico di amministratore delegato con Paolo Volponi. Beltrami voleva avere il potere e la responsabilità, mentre il Presidente cercava di ripetere il gioco che gli era riuscito, bloccando l’azienda, con Roberto Olivetti e Bruno Jarach e poi si era speso molto con Volponi in qualche modo promettendoglielo. Paolo Volponi sognava di riallacciarsi al sogno di Adriano e fare un’azienda umana, legata al territorio, alla cultura, al bello, al talento delle persone. Forse non si era reso conto della situazione di degrado in cui l’azienda era piombata in quegli ultimi anni, di immobilismo e di omologazione nella mediocrità.

Comunque Visentini non aveva alternative, capiva che il sogno di Volponi lasciato solo e libero avrebbe distrutto in breve ogni prospettiva. Fu nominato Beltrami e Volponi dette le dimissioni andando a fare il direttore generale della Fondazione Agnelli (pare che qualche colloquio tra Visentini e l’avvocato Agnelli ci sia stato).

Beltrami arrivò nell’autunno del 71, dopo pochi mesi arrivò Marisa Bellisario, gli anni 60 si chiudevano in questo modo. Non si può tralasciare tutto quello che è avvenuto nel decennio quando si fa l’elenco delle motivazioni di vario tipo che qualche decennio dopo provocarono la chiusura della Olivetti. Intanto stava per iniziare un nuovo periodo, nei successivi cinque anni l’azienda con un terribile sforzo, con una grande perfomance riuscirà ad effettuare la conversione da meccanica ad elettronica. Un record che cambiò l’azienda, i suoi prodotti, la sua cultura, ma alcune cose non cambiarono, come, per esempio, la lobby eporediese che continuava ad esercitare il suo potere. La cosa più eclatante alla fine degli anni 70 (1978) fu la decisione del Presidente di affidare l’azienda a Carlo De Benedetti, libero da impegni dopo la sua uscita non proprio dolce dalla Fiat.

Ma prima c’è il decennio degli anni 70. (segue)

 

 

 

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