di Gianni Di Quattro
Vivo con serenità di coscienza, a parte la pandemia che si è installata nel territorio con l’aria di non volere mollare e naturalmente gli acciacchi personali, il periodo della terza età. Non credo di annoiarmi perché leggo e scrivo, parlo con amici, penso al percorso passato della mia vita e faccio tutto con piacere. Penso anche al futuro, senza nascondermi la sua brevità e lo spazio sempre più ristretto del corridoio che tocca percorrere.
L’altro giorno pensavo, come mai tutti, o quasi va bene, ci siamo fatti tanti amici nel nostro lavoro in Olivetti ed ora ce lo diciamo tutti felici di averlo fatto e di potercelo dire? Devo averci riflettuto non poco su questo perché ci penso spesso e sono felice di averlo fatto e di averci ragionato sopra.
L’amicizia tra due persone nasce e si sviluppa quando le occasioni della vita li portano ad essere vicine, a collaborare, ad esprimere giudizi nello stesso momento e sulla stessa cosa, ma soprattutto quando tra le due persone si sviluppa una empatia, il senso del piacere di una umanità che si sente. Naturalmente tutto ciò è molto più probabile quando si tratta di persone che condividono valori, quando convivono in un ambiente adatto nel senso che è libero e umanamente attento oltre magari ad essere bello, nel senso di cercare la bellezza ovunque. Perché la bellezza aiuta ad amare l’umanità e la vita.
Allora la Olivetti per merito di Adriano e del suo modo di vedere l’azienda, il territorio e gli uomini che ci lavoravano, ha sempre tenuto in grande conto questi valori, ha favorito sempre le relazioni tra le persone anche come strumento di sviluppo e non solo di valore della azienda. Certo la morte di Adriano ha arrestato questo processo, la spinta verso questa filosofia di convivenza lavorativa, verso il lavoro come occasione umana e non solo come mezzo per vivere, ma l’effetto eco è durato per molto tempo, si è spento solo verso la fine quando già si avvertiva questa fine, quando già si capiva che tutto stava crollando. Quando una serie improbabile di persone ha cercato di gestire una cosa che era stata distrutta quasi totalmente e cercando soprattutto di pensare a loro stessi e a qualche amico e basta. I salvi chi può di tante storie umane.
Voglio dire che tra le tante eredità tecniche, culturali, organizzative, umane, la Olivetti ha lasciato a noi che ci abbiamo lavorato e che siamo stati dentro la sua filosofia aziendale questa bella eredità e cioè la nostra amicizia, l’amicizia con tanti di noi. Vi pare poco cari amici?
La nostra amicizia è profumata da sempre da un essenza di nome “Olivetti” che persiste e si annusa in ogni ricordo fra noi privilegiati di sempre !
Caro Gianni
quando ripenso ai meravigliosi 30 anni che ho passato in Olivetti mi rendo conto di quanto sia stata fortunata e di grande soddisfazione la mia vita lavorativa: che ha generato cultura ,know-how e amicizie che sopravvivono nel tempo “a quella serie improbabile di persone ” che hanno annientato parte del patrimonio italiano.
Ciao
Giorgio
Ancora una volta Gianni ha colpito nel segno e ha detto cose che tutti noi olivettiani di ferro non possiamo che condividere. L’atmosfera si è un po’ sfilacciata in fondo, ma molto in fondo. Si vede che i suddetti olivettiani di ferro hanno, come si usa dire oggi, resilienza.