di Ugo Panerai

Ancora una volta Gianni Di Quattro ha colpito aprendo un nuovo filone: l’inizio di carriera in Olivetti, cioè come tutto è cominciato.

Allora, se la sfida è lanciata eccomi qua anch’io a raccontare una storia, sicuramente molto meno dinamica e varia di tante altre. Non pretendo che sia interessante per tutti, ma certamente qualcuno ci si potrà ritrovare e potrà ricordare…

Correva l’anno 19XX (lasciamo perdere i dettagli…) e io ero assistente presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bari, nel quale ero entrato subito dopo una brillante laurea. Ambiente giovane, dinamico, in cui feci interessanti esperienze, per di più insieme con mia moglie, assistente anche lei nello stesso Dipartimento, dove del resto ci eravamo conosciuti. Retribuzione soddisfacente.

Facevo però tanta didattica, con piacere e scrupolo, e poco tempo mi rimaneva per la ricerca, in base alla quale invece venivano valutate le possibilità di carriera.

Decisi dunque che forse era tempo di lasciare l’Università, anche se nei giorni della decisione mi era arrivata una proposta di trasferimento al Dipartimento di Matematica. La cosa appariva attraente, ma ormai il dado era tratto!

Dove guardarsi intorno, volendo continuare in un’attività di ricerca? Esplorazioni in Pirelli, IBM, Shell e altre, ma non ne feci granché, per un motivo o un altro. Interessante il colloquio in IBM, dove però, invece che ai centri di ricerca in Italia (quello di Pisa, per tutti), volevano indirizzarmi alla carriera di funzionario tecnico-commerciale. Vendere i mainframe era certo un’attività che richiedeva una formazione tecnica, ma insomma sempre di vendita si trattava e io non me la sentivo.

Un giorno m’imbattei in un annuncio sul giornale: la Olivetti cercava funzionari commerciali. Ancora vendita, dunque, però il nome Olivetti lo associavo alla nascente informatica italiana (in Università avevamo avuto più volte dimostrazione della P101) e quindi chissà che non valesse la pena comunque di provare.

Così fu. Il selezionatore fu Giovanni Maggio. Tra Milano e Ivrea parlammo 2-3 volte, fui anche spedito in Olivetti GE per un colloquio, ma poi alla fine fui indirizzato al gruppo di Lionello Cantoni, direttore Sistemi Informativi Olivetti, e al suo interno alla squadra di Giorgio Sidro, che si occupava di Ricerca Operativa. Una destinazione per me soddisfacente.

Nel frattempo, si era rifatta viva con me la Shell, proponendomi un lavoro nei centri di ricerca olandesi. Molto allettante, ma a quel punto non me la sentii.

Oggi mi appare chiaro che in realtà Olivetti cercava dei talenti, come si dice oggi (mi tiro fuori dalla categoria), che poi avrebbe collocato da qualche parte, sicura di avere fatto comunque un buon acquisto. In effetti, per uno che si era almeno formalmente proposto per una funzione commerciale, andare ai Sistemi Informativi era un tragitto audace.

Allora accetto, stravolgendo la vita familiare che nel frattempo si era arricchita di un bambino, e mi trasferisco a Ivrea. Non una cosa semplice, atterrare nel profondo Nord provenendo da un Sud magari non profondo (Bari era già allora una realtà molto vivace e avanzata), ma pur sempre Sud. E passare dal pubblico, sia pure un pubblico sui generis, al privato.

Mia moglie, generosamente, mi seguì e trovò lavoro come insegnante di ruolo di Fisica negli Istituti Tecnici, dapprima a Torino poi a Ivrea.

Imparai molte cose, mi fecero frequentare corsi in Italia e all’estero e detti il mio contributo a progetti in corso. Ma col passar del tempo venivo sempre più spesso impiegato a coordinare le presentazioni dei progetti del gruppo all’esterno, preparare memorie per congressi, aiutare la Selezione del Personale nei colloqui con aspiranti dell’area tecnico-scientifica, ecc., il tutto sotto la spinta di Lionello Cantoni, le cui aspirazioni accademiche erano evidenti.

La cosa non mi dispiaceva, tutt’altro; ma avvertivo un forte distacco tra le attività che avrei dovuto svolgere, cioè quelle, diciamo così, per le quali venivo pagato, e quelle che di fatto svolgevo. In altre parole, non mi sembrava di essere nel posto giusto.

Fu così che, qualche anno dopo il mio ingresso, “approfittando” di un momento di crisi e di ripensamento della Direzione Sistemi Informativi, chiesi al Personale (allora Giancarlo De Franciscis) se si potesse individuare un posto adeguato alle mie nuove abilità conseguite.

Venne così fuori la possibilità di inserimento nell’Ufficio Stampa, nella parte che si occupava della allora nascente comunicazione prodotti-tecnologie-mercati e in particolare del rapporto con la altrettanto nascente stampa specializzata.

Però, nonostante la dipendenza fosse da uffici di Ivrea, la sede per questo lavoro era Milano. La famiglia, nel frattempo accresciuta di altri due figli, si era ormai abituata al “verde Canavese” e il trasferimento nella metropoli non era esattamente in cima ai nostri desideri.

Dopo un primo anno di mio pendolarismo settimanale, ci stabilimmo comunque con soddisfazione a Monza, città abbastanza verde (Parco compreso) e vivibile, a prezzi abbordabili.

A quel punto cominciò, per durare praticamente fino all’uscita dall’azienda, la mia lunga carriera nell’Ufficio Stampa, in buona parte sotto la guida del fantastico Mario Minardi, una grande figura per la quale avevo una vera e propria venerazione. La sede era Milano, ma andavo a Ivrea, punto di riferimento e sede dell’ente centrale, con grande frequenza.

A cavallo degli anni 90, in un momento di rimescolamento di carte all’Ufficio Stampa, con Minardi in pensione, chiesi e ottenni di passare alla Formazione della Olivetti Systems & Networks a riporto di Lino Dussi, altra persona che ricordo con grande piacere, per occuparmi di formazione manageriale, con frequenti puntate a Haslemere.

Verso la metà degli anni 90 rientrai, non più all’Ufficio Stampa, ma pur sempre nell’ambito della Comunicazione per occuparmi, stavolta a Ivrea con pendolarismo settimanale con Monza dov’era la famiglia, di Comunicazione Interna e Istituzionale, con Marco Pogliani.

Poi rientrai a Milano, per un annetto nella Direzione Attività Culturali (mostre, sponsorizzazioni ecc.) e infine di nuovo all’Ufficio Stampa, dove avevo lasciato una scia di buon ricordo. Vissi dunque in quest’ultimo ruolo tutto il turbolento periodo delle riorganizzazioni del Gruppo, ma anche quello, vivacissimo, dell’ingresso nella telefonia mobile e fissa.

Tra il 1998 e il 1999 attraversai, come responsabile dei rapporti con la stampa estera, la vicenda dell’Opa su Telecom Italia. Un periodo professionalmente molto stimolante e di grandissimo valore, ma con grande tensione e con ritmi di lavoro stressanti, anche se compensati da non pochi momenti di successo e di soddisfazione.

Però non reggevo più. E nel 2000, dopo essere stato nominato (… per meriti di guerra, dico io) Direttore Comunicazione in Olivetti, decisi di lasciare. Fu una decisione d’impulso, anche se naturalmente avevo già pronto un paracadute con una agenzia di comunicazione che mi prese subito come consulente.

La mia “resa” fu accompagnata da un tale coro di dimostrazioni di affetto e di amicizia da parte di capi, colleghi, collaboratori, partner Olivetti, giornalisti, che ne rimasi davvero commosso.

Ed ora, concludendo alla maniera di Manzoni nei Promessi Sposi, confesserò: “se (…) fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.”

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