di Gianni Di Quattro
La Olivetti è morta dopo una agonia gestita da alcuni amministratori delegati nominati da Carlo De Benedetti a casaccio dopo che lui aveva dovuto fare un passo indietro per motivi anche giudiziari. L’ultimo di questi amministratori faceva parte di un gruppo di amici che si definivano manager, imprenditori, finanzieri e forse erano anche altro. Ebbero l’idea geniale per risolvere il problema dell’azienda ormai appunto in agonia di sfruttarne la carcassa dandola in parziale pagamento per l’acquisto della Telecom Italia, ex monopolista di telecomunicazioni, settore in fase di liberalizzazione e di deregolamentazione. Il resto del pagamento fu messo a carico della stessa Telecom Italia che così cominciò a indebitarsi fortemente. L’operazione fu benedetta dalla politica dominante a quei tempi, e si ricorda il Presidente del Consiglio che definì il gruppo che fece questa operazione come un gruppo di capitani coraggiosi. Comunque, in quel momento la Olivetti cessò di esistere e le sue versioni successive non rappresentano alcuna continuità con il suo passato.
La morte della Olivetti passò sotto in silenzio nel paese, nessun interesse della politica, quasi nullo quello dei sindacati, casuale e molto disattento quello di osservatori, dei media, di esperti del mercato. Del resto, la stessa cosa è successo quando la Olivetti del dopo Adriano nelle mani del gruppo di intervento cedette tutto il settore elettronico per una manciata di soldi alla General Electric per risparmiare e senza nemmeno una interrogazione parlamentare o una manifestazione formale del sindacato. Una operazione fatta per risparmiare che tagliò il futuro dell’azienda, anche se dopo questa ebbe il coraggio e la forza di trovare una sua strada almeno per un po’ di tempo.
La storia della Olivetti è stata unica all’epoca e profondamente innovativa come straordinarie le intuizioni imprenditoriali di Adriano Olivetti, il valore di pensare di sviluppare una iniziativa con una attenzione diversa dal passato nella gestione delle risorse umane, nel valore da dare al design industriale, nell’importanza della bellezza in tutte le cose dell’azienda, gli uffici, gli stabilimenti, gli edifici, nel significato di un rapporto importante con il territorio, nella cura dei servizi a disposizione dei lavoratori tutti, nel tentativo della diffusione della cultura attraverso riviste, incontri, sponsorizzazioni di eventi.
Il valore e il significato della Olivetti nella storia economica della impresa a livello mondiale sono provati anche dall’esempio che ha rappresentato per tante aziende di successo. La IBM che ha scoperto il design industriale per i suoi prodotti e l’uso del colore, Steve Jobs che ha preso tanti spunti dal design, alla organizzazione per fare due esempi. Ma tanti venivano ad Ivrea, cercavano contatti incuriositi, tante imprese hanno preso spunto dalle innovazioni Olivetti per costruire le loro iniziative. Non si può dire che ci siano o ci siano state altre Olivetti, ma si può affermare che la Olivetti è stata talmente innovativa in tanti aspetti che gli spunti offerti a livello nazionale e internazionale sono stati tanti.
Oggi è in atto un profondo processo di revisione del modo di fare impresa, soprattutto del lavoro inteso come rapporto con i dipendenti di ogni ordine e grado, tanto è vero che uno dei grandi problemi di tante aziende più che trovare il personale (che comunque non è facile) è quello di trattenere il personale. Questo significa, da parte dei giovani in particolare, attenzione alla qualità del lavoro (orari, ambienti, servizi, responsabilità, formazione, percorsi di carriera). Ma il processo di cambiamento dell’impresa riguarda anche il modo di fare ricerca, l’importanza delle alleanze, la scelta dei mercati, le strutture organizzative, i legami con i territori, la cultura aziendale, la relazione con i clienti.
Ed è curioso, un orgoglio per chi ha lavorato in Olivetti, come tanti temi che hanno fatto parte della visione di Adriano, oggi siano oggetto di interesse e di progetto nei cambiamenti aziendali a livello internazionale.
Per questo la Olivetti è vero che è morta, ma mai nessuna azienda ha prodotto tante influenze nel panorama industriale. Si può dire che la Olivetti non c’è più ma che tanti suoi pensieri, tanti suoi modi di essere sono presenti sempre di più nel panorama internazionale delle aziende.
well said! having lived through all of the narrow-minded, parochial, mistakes made at the highest levels they missed out on becoming the Compaq or Dell of the US as only Piol and Tato understood.
alas they never let us do what needed to be done in the US, so we became nothing but a “wanna be”. and Piol and Tato were overridden.
Finalmente! Benché risaputa fra noi, è espressa in chiaro la grave responsabilità di Carlo De Benedetti che ha distrutto la Olivetti per tentare di salvarsi dagli infiniti problemi che l’aggredivano.
Forse, alle considerazioni di Gianni Di Quattro, si deve aggiungere che, se la Olivetti è morta fisicamente, romanticamente è sopravvissuta in tutti noi “olivettiani” che ne abbiamo amato l’anima che Adriano Olivetti le aveva donato.
PAROLE SANTE !
AGGIUNGEREI CHE NESSUNA AZIENDA ITALIANA COME LA NOSTRA E’ STATA VALORIZZATA DA OSSERVATORI STRANIERI, SPESSO CONCORRENTI, E DENIGRATA DA OSSERVATORI ITALIANI…..
Ottima e corretta deduzione. Grazie Giancarlo
Another excellent piece bi Di Quattro. In North America, the participation of AT&T in Olivetti’s corporate ownership and the associated contract to purchase, I recall, 250,000 M24 PC’s in different livery (a huge quantity in those days), was seen as a masterstroke that could save the company’s presence in the burgeoning PC market. In fact, it did briefly rank Olivetti in the top three desktop computer suppliers. However, regardless of AT&T’s corporate might, they were not culturally aligned with the computer market and their efforts failed and, along with it, one of Olivetti’s priority market objectives.
Parole sante, grazie!
Il problema dal mio punto di vista inizio’ quando ci hanno divisi in tre aziende separate (Mc Kinsey mi pare): Olivetti Systems & Networks, Olivetti Service e Olivetti Office. Mettendo a capo tre amministratori delegati, che non hanno fatto altro che farsi la concorrenza interna, confondedndo nel processo complatemante i clienti. Avevamo una consociata per nazione, ne hanno creato o tentato di crearne tre! Avevamo un polo di produzione a Scarmagno, ne hanno create, anche attraverso acquisizioni diverse (tre linee PC!) senza un vero disegno di ottimizzazione industriale.
Un altro esempio, lo sviluppo del SW per applicazioni di branch automation per le banche, l’R&D era ad Ivrea. Ne hanno create tre: aggiungendo qualla del Connecticut di ISC-Bunker Ramo e quella di Pozzuoli, senza considerara che avavemo un polo di eccellenza a Cupertino. Lavorando su tre soluzioni e piattaforme diverse! Mi ricordo quando Citibank venne a chiederci ma a chi dobbiamo dare ascolto per la versione successiva del nostro SW? Erano i tempi che si passava dalle soluzioni “proprietary” a Windows based applications. Ovviamente abbiamo perso il cliente.
Vi ricordate Olivetti Week a Montecarlo? Un evento che ha messo l’azienda in ginocchio, si lovorava per l’intero anno consumando risorse importanti per il show-off, mentre la concorrenza ci mangiava sotto il naso.
In particolare a parere mio e’ stata la totale mancanza di vivione collettiva per il futuro e focus. l’Olivetti ha sperperato risorse a destra e manca, dedicando risorse in divisioni palesemente inutili. Vi ricordata quanto e’ stato speso in office automation e IBIS, poi diventato IBIsys? Quando esistava gia’un leader di mercato: Micorosft.
Quanti tentativi di show-off senza continuita’industriale e commerciale.
Vi ricordate il Quaderno? Bello si, ma quanti ne sono stati venduti?
Insomma il problema non era solo dall’altissimo, ma dai CEO in giu’ che hanno contributo all divisione interna ed hanno lavorato facendosi concorrenza interna invece che con una visione condivisa verso la concorrenza esterna.
Mi scuso per l’inesatezze possibili, ma penso di avere reso il mio pensiero.
Grazie Gianni per aver esposto perfettamente LA VERITÀ sulla vicenda Olivetti Telecom.
Come Gianni e altri amici sanno, la mia visione sul declino Olivetti è un po’ diversa e soprattutto meno “bianco o nero” rispetto a quella di Gianni. Ma, come sempre lui stesso ed altri amici sanno, sono profondamente convinto anch’io che il vero passo falso finale sia stata l’acquisizione di Telecom Italia, anche se forse la creazione di Omnitel e Infostrada – a mio giudizio, due grandi realizzazioni di portata storica – era stata, per conservare l’immagine del passo, un passo più lungo della gamba…
Quanto al “welfare aziendale” di cui oggi tanto si parla e straparla, esso è certamente un portato dei tempi, ma è indubbio che ci sia dentro un poderoso “profumo olivettiano”.
Ma soprattutto andrebbe ricordato come la visione di Olivetti fosse chiaramente profetica.
Ricordarlo, anche e soprattutto ai più giovani, non è e non deve essere solo un nostalgico rimpianto di un tempo, ma l’acquisizione di una consapevolezza storica che deve orientare il futuro. Appunto, è un po’ come dire: ma a che serve studiare la storia?
Quanto al commento di Bijan Pio Majidi, sì, c’è una inesattezza, come lui stesso sospetta: Olivetti Week fu tenuta a Roma e non a Montecarlo (ma potrei ricordare male!). Piuttosto il punto è che, forse avendo io lavorato sul piano della comunicazione e delle relazioni pubbliche mentre lui viveva la cosa più dal di dentro, a me sembrò una grande dimostrazione di orgoglio.
Certo l’orgoglio non basta…
Caro Gianni,
come sempre lucido e, forse, troppo buono verso gli assassini di quella nostra Azienda che è stata e resta, tuttoggi, unico esempio al mondo di come dovrebbe essere una azienda moderna e umana senza, peraltro, dimenticare il profitto che serve per dar da mangiare a tutti.
Io, però, sono dell’opinione che la gravissima ferita che l’ha poi portata alla morte sia stata inferta dopo la scomparsa del mai troppo compianto Ing. Tchou, quando il Governo Italiano non fece alcunché per salvarla e personaggi come Valletta, con una visione del futuro degna di un autentico demente, dissero che la grande industria, FIAT in testa, l’avrebbero aiutata a patto che si fosse disfatta di quel cancro dell’elettronica!
Dopo di ciò, il diluvio.
Un caro saluto e, come sempre, un grazie per tutto ciò che hai sempre scritto e per tutto quello che scriverai.
Spero di rivederti al prossimo raduno all’Osteria del Treno.
Cordialmente.
Gianfranco Nizzica
A futura memoria.
Ho provato ad inserire un testo per il bio del mio profilo, in caso arrivi il giorno della rivelazione: gli Olivettiani avrebbero potuto sopravvivere, evolvendosi come promotori prima, e operatori in seguito, della gestione di una piattaforma digitale europea “aperta”, nello spirito, non solo tecnico, che si sarebbe potuto leggere nel modello di riferimento dell’OSI [Open System Interconnection].
L’inserimento del testo nel mio profilo non riesco a salvarlo, pur rispettando il limite di 600 caratteri. Lo copio qui sotto:
In OS&N, dal 1983 al 1989, con l’intento [incompreso] di trasferire in azienda un precedente ruolo di Analista di Sistema, a supporto di una strategia per lo sviluppo di una Open System Architecture [presentata a Londra nel 1987], alternativa alla System Network Architecture [SNA] di IBM.
Il racconto postumo del fallimento di quell’intento, e delle successive occasioni perdute di prevenzione dei conseguenti danni sociali, richiede il superamento di ostacoli di tipo comunicativo, di difficoltà insormontabile per chi l’ha vissuto come esperienza esistenziale.