L’anno passato ha visto un fiorire, o rifiorire, di iniziative ispirate a Adriano Olivetti. Convegni, pubblicazioni, presentazioni hanno riportato alla ribalta la figura del grande e innovativo imprenditore.
Ci sia concesso di aprire una parentesi. Oggi “innovazione”, coi suoi derivati, è la parola di cui tutti si riempiono la bocca, molto spesso a sproposito; un mantra sempre presente come una specie di incubo nei dibattiti, nei proclami, nei messaggi promozionali. Quando poi, in realtà, di innovazione vera, seria, rivoluzionaria, non diciamo che non ce n’è, ma ce n’è molta di meno di quanto si va sbandierando. Ecco, ci viene in mente appunto gente come Adriano, che la qualifica di innovatore se la tira addosso, lui sì, proprio senza sforzo. Chiusa parentesi.
Dicevamo che tanto si è detto e scritto del Nostro l’anno scorso, grazie in buona misura alle rinate Edizioni di Comunità, che stanno gradualmente riproponendo ai lettori tutta l’opera e alcuni inediti di Adriano Olivetti e i migliori studi critici per contribuire alla comprensione profonda della vicenda olivettiana.
Ciliegina sulla torta è stata la fiction Rai La forza di un sogno, che nell’ultimo scorcio dell’anno con grande successo di pubblico ha polarizzato l’attenzione, stavolta, di una platea molto più vasta di qualunque convegno o pubblicazione.
Prodotta da Luca Barbareschi e diretta da Michele Soavi, nipote di Adriano, la miniserie ha ricevuto giudizi contrastanti. Parliamo non solo e non tanto della critica ufficiale e professionale, quanto piuttosto dell’impressione suscitata nel pubblico, composto, non dimentichiamolo, di olivettiani (la minoranza, ormai) e di non olivettiani.
Chi l’ha ritenuta un po’ di maniera e di tono “nazionalpopolare” e chi una storia edificante che la Rai ha comunque fatto bene a proporre; chi l’ha trovata un po’ superficiale rispetto alla complessa realtà del personaggio e chi vi ha visto un richiamo doveroso, specialmente di questi tempi, a un’imprenditoria a 360°, di mente e di cuore. Né sono mancate divergenze di giudizio su Zingaretti: fra chi lo giudica bravo, capace di calarsi in ogni ruolo, e chi lo avverte come troppo legato al cliché del leggendario commissario Montalbano; e così via.
Secondo noi, in un panorama televisivo non di rado di scarso spessore, è stato meritorio richiamare la grande figura di Adriano e sottoporla all’attenzione di chi non l’ha conosciuta (i più giovani) o richiamarla a chi l’ha dimenticata. Sul come la storia sia stata condotta si può sollevare qualche perplessità: i tempi contratti e i ritmi televisivi, ad esempio, non hanno reso giustizia alla profondità della vicenda Olivetti di quegli anni, finendo per trattare alcune situazioni in modo un po’ sbrigativo.
Ma insomma è importante che con questa occasione si possa tornare a parlare non solo di Olivetti (uomo e azienda), ma più in generale di impresa, lavoro, sviluppo, valori, in termini nuovi e profondi.
Ed è quanto ci attendiamo dagli olivettiani che vorranno scambiarsi idee attraverso il nostro sito e nel corso del nostro raduno annuale 2014.
Della fiction su Adriano Olivetti ho apprezzato poco più dei panorami del Canavese, indubbiamente ben ripresi: il deteriore orientamento commerciale della narrazione, che l’ha resa un romanzetto rosa sulle vicende personali di Adriano ed un giallo-nero su insinuate malefatte della CIA, non mi pare abbia reso assolutamente giustizia alla realtà dell’impresa in cui abbiamo vissuto e operato. Per non parlare di scenette grottesche come l’Elea che “controlla la produzione” spingendo una giostrina di Divisumma! Anche alcuni dei commenti che, per dichiarato rispetto delle idee di tutti, avete ospitato sulla newsletter, non mi sembra meritino veramente tanto rispetto, visto che pretendono di fornire semplicistiche spiegazioni sui successi e sul declino aziendale ignorando completamente la storia di almeno tre decenni dopo il tramonto della “meccanica” e delle iniziative sociali di Adriano. Sembra quasi che non si voglia ricordare che dopo le macchine per scrivere e le calcolatrici meccaniche siamo stati per anni uno dei principali fornitori di piccoli sistemi gestionali, di terminali per le filiali delle banche in tutto il mondo, di Personal Computer, … e la fine è arrivata ben dopo.
Mauro Caprara
Caprara ha perfettamente ragione. Il film, agiografico, comincia e finisce quando Adriano Olivetti muore di un infarto (il secondo, dopo quello del 1951) dopo avere attraversato il Monte Bianco in treno: questo tunnel inesistente lo stanno tuttora esplorando Zichichi e la Gelmini, alla ricerca dei neutrini. Basta questo per definire il film; Adriano Olivetti meritava ben altro ricordo. Alberto Debenedetti
Un documento di riferimenti ad articoli apparsi sul tema, per chi li avesse persi o volesse saperne di più:
https://www.olivettiani.org/dwd/La_fiction_sui_quotidiani_2.pdf