In occasione del raduno del 30 maggio scorso, Mauro Caprara, un fedelissimo dei nostri incontri e di quelli delle Spille d’Oro della Lombardia, ha accennato ad alcune cartelle di appunti che teneva chiuse nel cassetto e in cui aveva riassunto i suoi trascorsi in Olivetti.

I nostri lettori conoscono l’interesse che olivettiani.org ha sempre manifestato verso i ricordi personali dei colleghi, uno specchio della vita della nostra comunità, una visione forse parziale ma sincera degli eventi che tanti di noi hanno condiviso.

Abbiamo ricevuto il manoscritto, lo abbiamo letto con altri protagonisti, ne abbiamo parlato con l’autore. Ed ecco qui la prima puntata. Si tratta di un periodo lungo 27 anni, nei quali l’azienda ha sviluppato una vasta gamma di prodotti sistemistici, dopo la fase lunga e importante della meccanica di grande serie.

Un periodo più vicino a noi e pieno di innovazioni, prodotti complessi, apertura di nuovi settori, non ultimo quello del software. Siamo convinti che molti olivettiani superstiti sono stati testimoni di quel periodo e che avranno commenti, suggerimenti, altri episodi da sottoporre ai lettori.

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Premessa

Mauro Caprara al 6° raduno olivettiani, il 31 maggio 2014

Mi sono deciso a scrivere questa nota, dopo aver esitato a lungo, su suggerimento di amici ex colleghi che stanno raccogliendo ricordi e testimonianze sulla storia dell’informatica italiana e del ruolo essenziale che vi ha giocato la Olivetti.

Forse lo stimolo mi è arrivato al momento giusto: infatti scrivendo prima avrei corso un maggior rischio di toccare interessi e suscettibilità ancora vive, mentre posticipando ulteriormente la scrittura i ricordi avrebbero potuto perdere ogni residuo interesse o addirittura svanire.

Mi rendo conto che vari aspetti aziendali del racconto sono già stati descritti da altri, che alcuni aspetti personali possono avere un interesse limitato e che i dettagli tecnici ricordati hanno significato solo per addetti ai lavori, ma spero che il tutto converga in un quadro di vita vissuta; mi auguro comunque che il lettore si senta libero di sorvolare sulle parti che non gli interessano.

Nella narrazione dei fatti ho cercato di essere il più possibile obiettivo; ammetto però che dopo vari decenni i ricordi si possano essere appannati, per cui se qualcuno scoprirà delle inesattezze gli sarò grato di segnalarmele; lo sono già verso chi l’ha fatto leggendo le bozze.

Infine desidero chiarire che i giudizi espressi in questa nota sono da considerare esclusivamente come mie valutazioni personali.

Borgolombardo e Pregnana (1962 / 1967)

Sono arrivato a Borgolombardo, ai Laboratori di Ricerca Elettronica Olivetti, una mattina del Gennaio 1962, scendendo da un corrierone blu preso a Milano in Corso Lodi a calpestare la neve sporca della stradina di ingresso.

Avevo appena concluso una prima esperienza di lavoro di alcuni mesi all’IBM, che mi aveva agganciato a Bologna poco prima della laurea in ingegneria per propormi un incarico nel settore nascente del controllo dei processi industriali, ma aveva poi subito dimostrato di privilegiare in Italia le carriere di vendita e di non potermi offrire, a meno di una decisione di emigrare che non volevo prendere in considerazione, il ruolo che mi interessava: quello di progettista in un’area di tecnologia avanzata. Mi ero quindi deciso io a cercare un contatto con l’Olivetti, che non so perché nella mia sessione di laurea non aveva fatto reclutamento a Bologna, per cercare di entrare nei suoi Laboratori.

L’esperienza IBM, anche se breve, mi aveva dato alcune conoscenze che mi rendevano un personaggio un po’ anomalo nell’ambiente di Borgolombardo, ma mi fu proposto comunque di seguire, come gli altri neolaureati e diplomati, un corso trimestrale di formazione alla scuola interna di Linate. L’andamento rilassato della vita di lezioni mi fece però rapidamente scalpitare e chiedere di essere messo in attività: in quell’ambiente di impareggiabile rispetto per le aspirazioni personali fui subito preso in parola e mi trovai in pochi giorni alloggiato nella segreteria del direttore dei Laboratori, Giorgio Sacerdoti, con l’invito a dare uno sguardo orientativo ai progetti in corso.

Fui immediatamente attratto da quello più ambizioso, l’Elea 9004, un elaboratore binario con parola di 48 bit, ciclo interno di un microsecondo, ciclo completo di memoria (a nuclei) di due microsecondi, logica DTL con tempo di commutazione di alcune decine di nanosecondi. Mi rendo conto che i valori citati sono ora sorpassati per molti ordini di grandezza, ma allora erano al vertice della tecnologia.

La macchina aveva un’architettura particolare, basata su una struttura a stack e sull’utilizzo di una sintassi a notazione polacca inversa (RPN), particolarmente adatta all’utilizzo di compilatori di linguaggi simbolici come l’Algol. A quei tempi c’era solo un elaboratore con quel tipo di struttura annunciato sul mercato, il Burroughs 5000.

Mi proposero di provare a capire le micro sequenze di macchina, presentate senza tanti complimenti come grandi fogli di diagrammi di flusso appesi alle pareti. Cominciai ad analizzarle e tempo qualche settimana diventai lo specialista della parte più noiosa, la fase alfa, cioè l’estrazione e interpretazione degli elementi del programma, che si presentava abbastanza complicata poiché la cima dello stack era costituita da registri elettronici, ma il resto da celle di memoria; quindi gli argomenti delle funzioni dovevano essere ricercati in posizioni diverse e se necessario fatti riaffiorare dalla memoria per poterli elaborare, oppure sprofondati per accantonarli come risultati intermedi.

Ma mi furono rese accessibili anche le parti più interessanti e algoritmiche della macchina; misi infatti il naso nel moltiplicatore veloce e con gioia riuscii a contribuire ad un’accelerazione della moltiplicazione, proponendo di inserire nella logica alcuni gate che eseguivano al volo le correzioni per segni negativi degli operandi (richieste dalla rappresentazione binaria in complemento a 2), che nel disegno iniziale impiegavano cicli e quindi tempi aggiuntivi.

Il gruppo di progetto che mi accolse e integrò con tanta apertura comprendeva personaggi notevoli, che pur con caratteri molto diversi avevano in comune la capacità di muoversi senza alcun timore in aree inesplorate. Ricordo di quel periodo la collaborazione con il simpatico e concretissimo Ermanno Maccario, con Renato Betti, che ci lasciò presto per ritornare sui propri passi scolastici conclusi in modo affrettato per seguire con successo il percorso universitario, col silenzioso Ezio Nicola, che faceva da tramite col mondo a sé degli esperti di software e con Piero Slocovich, brillante ma assorto per la verità principalmente in altri pensieri. Piero si è occupato successivamente – e lo fa tuttora – di automazione della formazione della conoscenza, ma ha spaziato anche in altri campi; ricordo che un giorno ci presentò un groviglio di fili metallici saldati tra loro che spiegò essere un ipercubo a parecchie dimensioni, ovviamente “schiacciato” nel nostro limitato spazio tridimensionale per essere visibile e tangibile.

C’erano poi gli ingegneri: Attilio Mojoli, serio e sbrigativo milanese, anche lui presto sparito per l’attrazione inesorabile di un’azienda di famiglia, e Vittore Vittorelli, il principale progettista e collaboratore del capo, che era il trentenne veterano di Barbaricina (il gruppo pisano dell’Olivetti) Simone Fubini, impegnato a conferire saggezza ad un team piuttosto originale.

Il 1962 fu un anno di sereno lavoro per il gruppo 9004; collaborai tra l’altro a completare il progetto definendo un bus di memoria condiviso tra unità centrale e canali di input/output e la relativa logica di priorità degli accessi.

Nell’inverno successivo avvenne il trasferimento dei laboratori a Pregnana Milanese e quasi contestualmente la constatazione che il prototipo del 9004 sarebbe costato un sacco di soldi: un transistor costava allora duemila di lire – il costo di diverse ore lavorative – e ne servivano parecchie migliaia. Il progetto venne quindi ridimensionato verso una configurazione di livello ridotto (a 24 bit) denominata 9104.

Anche il gruppo di progetto fu ristrutturato, intervennero nuovi brillanti attori (Gianfranco Soverini, Giancarlo Collina) e si avvicendarono vari responsabili, reduci da precedenti progetti storici dei Laboratori fin dal periodo pisano: Paolo Coraluppi e Ottavio Guarracino. Con la loro collaborazione il prototipo della 9104 fu costruito e messo a punto con successo, ma restò alla fine un esemplare unico, ceduto ad un Istituto universitario romano che lo utilizzò per vari anni.
(ndr: l’elaboratore si trova ora presso il Museo degli strumenti per il calcolo di Pisa)

A me fu proposto invece di seguire Fubini, che aveva assunto a Pregnana la responsabilità dell’Ufficio Sistemi, un ente di coordinamento di cui era molto sentita la necessità, per la molteplicità di progetti che nascevano, si modificavano e si sovrapponevano in un ambiente così informale.

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