Negli ultimi tempi ci capita spesso di sentir pronunciare il nome di Adriano Olivetti in articoli, interviste e dibattiti su temi di attualità legati alla disastrata situazione del nostro paese. Non si tratta di motivazioni accessorie; il centenario della “fabbrica” fondata dal padre Camillo è stato celebrato nel 2008, il cinquantenario della scomparsa di Adriano è stato ricordato nel 2010, la Ing. C. Olivetti & C. è sparita dal listino delle aziende italiane nel lontano 2003, Ivrea è ormai citata nelle notizie di stampa quasi esclusivamente in occasione della carnevalesca “battaglia delle arance”.
Il pensiero e l’opera di Adriano Olivetti stanno tornando prepotentemente alla ribalta per i valori fondamentali, portati avanti con illuminata perspicacia negli anni della maturità e canonizzati in decine di pubblicazioni e interventi che hanno creato il concetto di “comunità concreta”.
Il crescente indebitamento di un paese spendaccione, le vacue polemiche delle caste tese solamente a perpetuare se stesse, la “finanza creativa” come succedaneo dell’oculata amministrazione, il bombardamento mediatico in cui la ricchezza, l’avvenenza fisica e il potere vengono contrabbandati come sostituti dell’intelligenza, dell’onestà e dell’accorta gestione: tutti temi oggetto di forti dibattiti, in cui di tanto in tanto spuntano riferimenti ad Adriano Olivetti e alle sue indicazioni come uno degli anelli di salvataggio da lanciare al paese.
E da ultimo anche il tema del lavoro, riportato prepotentemente in prima pagina dalla drammatica situazione dell’Ilva e dal miserabile palleggio fra l’industria e la politica, sulla pelle di chi a Taranto vive e lavora rischiando la salute. Proprio riflettendo sul tema del lavoro, ci è tornato alla mente un articolo apparso il 12 giugno scorso su Europa quotidiano on-line, basato su un colloquio con il prof. Luciano Gallino, figura ben nota agli olivettiani con i capelli grigi e non solo.
Vi invitiamo a leggerlo e a riflettere. Con un auspicio che siamo sicuri ci troverà tutti concordi e che abbiamo ripreso dalla frase di chiusura dell’articolo di presentazione del Padiglione Italia alla 13ª Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia:
… la visione olivettiana – che tiene insieme architettura, economia e territorio – può diventare il punto chiave sul quale cominciare a riscrivere il futuro del nostro paese.
Concordo con quasi tutto quanto è stato detto, ma vorrei segnalare un momento nella vita del Gruppo Olivetti, decisamente successivo all’era Adriano (parlo degli anni 90) e comunque calato in uno dei periodi tra i meno felici, in cui però gli “animal spirit” tipici degli olivettiani, eredi forse inconsapevoli dello spirito di Adriano, hanno avuto modo ancora una volta (forse l’ultima?!) di manifestarsi. Se non vogliamo usare nel senso nobile il termine di Keynes, diciamo insomma la vitalità, lo slancio, la carica vitale.
Il momento cui mi riferisco è quello della creazione, del lancio e dello sviluppo di Omnitel e poi di Infostrada. Non è stato per fortuna l’unico momento di vivacità e di riscossa nell’era post-Adriano, ma è stato riconosciuto anche da molti osservatori esterni come uno dei più significativi, destinato a fare storia, una “success story”.
Ricordo una animazione, una determinazione, una voglia di fare, una capacità creativa e organizzativa e un orgoglio che poche altre volte (non sto dicendo: nessuna) avevo riscontrato nella mia più che trentennale esperienza in Olivetti. E con che risultati! Poi le cose sono andate diversamente, ma insomma…
Non intendo autocitarmi, ma ricordo che cosa ebbi occasione di rispondere a Pier Luigi Celli, all’epoca direttore del personale di Gruppo, quando, durante un incontro di dirigenti, chiese che cosa a nostro parere aveva determinato il successo di Omnitel che già si andava delineando.
Risposi più o meno così:
Secondo me il fatto che siamo partiti da zero. Ci siamo detti: “Diamoci alla telefonia mobile, bene. Ma non ne sappiamo praticamente nulla! Fa niente: adesso ci mettiamo lì, noi siamo gente capace e volonterosa, un po’ caotici ma brillanti. Capiremo quello che c’è da capire, faremo, inventeremo, sperimenteremo e non ci daremo per vinti finché non saremo riusciti con un risultato”.
Ugo Panerai