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Non ho parole e quelle poche che avrei non riesco a tirarle fuori.
Quando la morte ti colpisce così da vicino dal punto di vista dei ricordi e degli affetti rimani lì ammutolito.
Come faccio a dimenticare i lunghi anni di collaborazione (sempre col sorriso tra le labbra, dato il personaggio) quando io ero all’Ufficio Stampa e lui era a capo dei Personal Computer per l’Italia? Chi può dimenticare che i pc per lui erano i “computer pe’ i’ creature”
E come dimenticare, vorrei dire soprattutto, gli anni passati dal 2008 a vitalizzare e sostenere il nostro gruppo Olivettiani insieme con gli altri amici? Le sue idee, il suo contributo appassionato, il suo entusiasmo finché ha potuto?
Un abbraccio, Vittorio.
Vittorio era un fratello. Abbiamo iniziato insieme la nostra vita Olivetti nel 1958. Zonisti a Napoli insieme ad altri carissimi amici come Quartuccio e Giambone pieni di speranza e di voglia di fare.
E da allora ci ha legato un vero e proprio cordone ombelicale per oltre 60 anni. Non voglio parlare del professionista che stimavo tanto, ma desidero ricordare il Suo aspetto umano. Simpatico Allegro Pieno di vita in grado di riempire con la Sua presenza ogni spazio. Un amico affettuoso e sensibile! È andato via ma rimane con me, rimane con noi. Sono grato alla Olivetti perché mi ha consentito di vivere in un mondo fantastico fatto di uomini eccellenti come lo era Vittorio. Voglio salutarlo non con tristezza, ma con un sorriso. Ciao Vitto’
Ciao Massimo, grazie per le belle parole. Hai sintetizzato in poche frasi l’essenza di Vittorio e quella della Olivetti. “Un mondo fantastico fatto di uomini (e donne mi permetto di aggiungere) eccellenti”.
E sono più che d’accordo con te per salutare quel mondo col sorriso e non con la tristezza.
Ciao.
Francesco Apuzzo
Un affettuoso saluto a Vittorio che, non ricordo quando, è stato mio capo a Palermo dove si è fatto apprezzare per la sua vivace simpatia. Mario
Mi dispiace molto, è stato un protagonista della nostra Olivetti.
Volevo cercarlo per organizzare un incontro. Non ho fatto in tempo.
Ciao Vittorio.
Caro Vittorio, ricordati di me sei stato uno dei miei migliori amici oltre che mio Capo a Palermo Marketing, simpaticamente napoletano . Un forte abbraccio.
Ciao Vittorio. Mi hai insegnato a mangiare la pizza da “vero napoletano”. Senza di te, ci divertiremo di meno.
Ciao Vittorio. Grazie per la tua simpatica amicizia e per quanta allegria ci hai regalato.
Ho ancora vivo il ricordo dei colleghi di Napoli che hanno caratterizzato con la loro presenza molte occasioni di incontri aziendali. Giambone Tarantino Quartuccio e Apuzzo che bello avervi conosciuto.
Mi dispiace tantissimo, Ho avuto l’onore e il piacere di conoscere Vittorio anche se in Olivetti eravamo in due mondi diversi. Lui nei Commerciali io nella realtà di produzione.
Ricordo ancora con affetto alcune scorribande gastronomiche con il comune amico Liberato Quartuccio, oltre che in alcuni raduni a Napoli. Se ne andato un altro pezzo importante di quella che fu una meravigliosa scacchiera.
Riposa in Pace grande amico, non ti dimenticherò mai.
Ciao Vittorio
la tua grande simpatia e il tuo buonumore rimarranno sempre nei ricordi di un periodo della mia vita passato lavorando ,anche se in settori diversi , per la grande Olivetti .
Stavo cercando di rintracciarlo in Lunigiana, ma non ho fatto in tempo. Se ne va un caro amico, un grande professionista, un vero signore.
Con sincero dolore ricordo il caro, simpatico, allegro amico Vittorio. Ai tempi della “divisione” tra Olivetti Systems & Networks, ricordo le scherzose discussioni serali che si concludevano con una sua battuta. “ l’acqua è poca, e la papera non galleggia”.
Ciao Vittorio, riposa in pace
Ciao Vittorio : è stato bello incontrarti nella mia vita : Ed è stato anche divertente ! Mi raccomando continua a tenere allegri anche tutti i santi del Paradiso !!
Giuliano puoi starne certo! Secondo me San Pietro ha già sguinzagliato i suoi agenti alla ricerca di un tizio brizzolato, con gli occhiali da sole, che guida una decappottabile…. Ma siccome è targata “NA” gli angeli agenti pensano che sia Nazareth e lo fanno passare (e in sottofondo la canzone “Guaglione” di Aurelio Fierro) ❤️
Ciao, grazie.
Francesco Apuzzo
dire di Vittorio è difficile. umanamente era una persona speciale, amava l’amicizia e la vita. professionalmente era impegnato sempre con leggerezza ma con grande coscienza ed applicazione al suo lavoro, era un personaggio Olivetti nel senso proprio della parola. ha sempre gestito la sua vita con amore anche quella personale. la sua capacità di stabilire rapporti umani con chiunque era proverbiale. negli ultimi tempi ha sofferto, si è appartato ma continuava a pensare alla sua vita al legame con gli amici a perchè era quello che era. la sua scomparsa è una perdita per noi amici che siamo tanti, è una perdita che fa pensare a chi è avanti con gli anni e sente queste perdite come macigni che la vita comincia a scagliare come se spingesse verso chissà dove, Vittorio sei nei pensieri di tanti noi e ci rimarrai sempre non solo per i sentimenti reciproci ma per quello che rappresenti, per il modo come hai interpretato la vita e come hai in modo cosciente o meno aiutato tanti di noi a vivere
Ciao Gianni. Che dire? Non ci sono parole. Eppure quelle che hai scritto tu sono una carezza al cuore ❤️. Grazie, l’affetto che voi tutti e tutte state manifestando a mio padre è come appunto una carezza sul cuore e sull’anima. Io, da figlio, faccio le condoglianze a te e tutti ‘e cumparielli vostri (incluso l’amato Paolo De Angelis, che per me era come uno zio, che ci ha lasciati da poco) poiché io, da figlio, non solo ho perso un padre; ma anche un tassello importante di quella cultura del ‘900 (della quale l’Olivetti è stata grande protagonista) di cui avremmo tanto bisogno adesso. In questo mondo fluido, liquido e paludoso, dove niente sembra avere, ormai, più alcun valore. Ciao Papà! Almeno questo te lo sei risparmiato. ❤️
Il saluto di Gianni a Vittorio continua ad interpretare il pensiero di chi tra di noi lo ha conosciuto : quando si parla di umanità Vittorio la ha interpretata nel modo più schietto e veritiero.
Io sono stato per ben cinque anni gomito a gomito nel lavoro e nella amicizia personale continuata fino ad una sua telefonata per gli auguri dello scorso Natale. Certamente ognuno di noi ha oggi l’occasione per riflettere su come interpretare il margine della vita che ancora ci rimane.
Ciao Michele, grazie per le belle parole per mio padre ❤️
Francesco Apuzzo
Ciao, goditi il meritato riposo…..
In ricordo delle belle partite a Poker (con Maggiulli e Co.) che facevamo quando venivo a Napoli.
Ricordo il caro Vittorio con grande affetto e nostalgia.
La sua bontà e la sua contagiosa simpatia saranno valori indelebili legati alla sua persona.
Sono passati 11 anni dalla sua presenza al convegno degli olivettiani di Napoli a Villa Vittoria e la sua attiva partecipazione contribuì moltissimo al successo di quell’evento che vide tanti amici/colleghi incontrarsi nuovamente e condividere i piacevoli ricordi dei tanti anni passati insieme, in strutture e organizzazioni non sempre comuni, nella grande Olivetti.
Ciao Vittorio.
Ricordo di Vittorio Apuzzo
Nato a Napoli, il 28 ottobre, anniversario della fatidica marcia su Roma, il babbo rischiò di chiamarsi Benito, su suggerimento dei colleghi di banca di suo padre, il quale antifascista, con elegante diplomazia, riuscì a dirottare l’attenzione verso un più neutro Vittorio. Entrato e uscito da una banca napoletana, più con la velocità di un rapinatore che di un impiegato, il babbo si lanciò, negli anni 50 nell’avventura dell’Olivetti, la fabbrica italiana di macchine da scrivere, più all’avanguardia di qualsiasi impresa di allora. Da Camillo ad Adriano, la compagnia di Ivrea aveva un approccio “socialdemocratico”, inclusivo, etico e cooperante all’impresa; il contrario del fordismo, del capitalismo rampante e strafottente di Fiat, IBM e altre aziende. Produzione di beni e di welfare per i lavoratori e le lavoratrici, non finanziarizzazione dell’economia, come poi dirottarono l’azienda i vari De Benedetti. Da un comodo e sicuro lavoro in banca, la scelta di fare il “rammariello”, il venditore di macchine da scrivere a domicilio, soprattutto di commercianti e uffici, rappresentò la scelta scomoda che influenzò, in seguito le vite di tutta la famiglia.
La mamma, giovane ragazza indipendente, tornata da sola in Italia dal Cairo che aveva dato i natali a tutta la famiglia, incrociò il suo destino con quello di papà, nella selvatica e introspettiva isola di Procida, l’isola di Arturo. Un’isola una volta rustica, oggi affollata di turisti e sulla china della metamorfosi, anche grazie al riconoscimento di “Capitale della Cultura 2022”.
La sfida del giovane proletario, rimasto orfano di padre a soli 7 anni, nel 1944, il riscatto personale e professionale, iniziò allora, vendendo macchine da scrivere anche a chi non ne avrebbe avuto alcun bisogno, al costo di uno stipendio di un operaio di allora (era frequente che, apparendo sull’uscio, si sentisse urlare “Olivè, nun ce serve nieent!”). Non erano pochi coloro che desideravano un futuro migliore per i figli e la macchina da scrivere assicurava un’entratura nel mondo dell’impiego in pieno boom economico.
La carriera in Olivetti era appena iniziata e, dopo non molti anni, allo scoccare del mio sesto anno di età, arrivò il trasferimento a Palermo, dove nacque Barbara, l’agognata femminuccia dopo tre maschi.
Al porto di Napoli, nonne, zie e nonni piangevano come se stessimo emigrando per l’America. «Non vi vedremo mai più!». Papà non aveva alcuna intenzione di fermarsi su quel gradino, pur parecchio elevato rispetto agli esordi da “rammariello”. Ma Barbara nacque anche con diversi problemi alle articolazioni, per cui lei e la mamma trascorrevano lunghissimi periodi all’ospedale “Rizzoli” di Bologna, uno dei migliori centri ortopedici pubblici d’Italia. Nel loro pendolarismo con Palermo, il 2 agosto del 1980 avrebbero potuto restare sotto le macerie dell’attentato statale e fascista alla stazione ferroviaria. Ma il destino decise di lasciarle con noi ancora a lungo.
Paradossalmente, fu a Palermo che mi sentii appellare per la prima volta “terrone”, perché, come allora noto, “l’Italia inizia da giù, dalla Sicilia”, una tesi francamente avvincente.
Erano già trascorsi 5 lunghi anni da quella prima volta che, sbarcati nella meravigliosa città arabo normanna, mi sorpresi a vedere degli adulti che mangiavano il gelato. A Napoli la cremosa leccornia era appannaggio unicamente di noi bimbi. Papà aveva a che fare con tutti a Palermo e temo avesse incrociato anche persone poco raccomandabili, districandosene con elegante diplomazia. Non era un eroe ma non voleva respirare la stessa aria di certi personaggi, o peggio, farci affari. Nell’atmosfera si sentiva già odore di un ennesimo trasloco.
La sete di riscatto, la curiosità e la “cazzimma” da scugnizzo del babbo, ci portarono, con incarichi sempre più di rilievo in azienda, a Mantova e poi a Verona, come direttore di filiale.
Io, imberbe, frequentavo centri sociali anarchici e bancarelle sulle quali si vendevano i libri sui NAP, Nuclei Armati Proletari e Prima Linea mentre il babbo, da direttore di filiale, rischiava di essere gambizzato, nel corso dei duri scioperi e contrapposizioni lavoratori – padronato del 1977.
Venne poi Milano, ma “rischiammo” di finire a Ivrea. Papà sempre più in posizione nella dirigenza di “mamma Olivetti”; tanti colleghi, colleghe, amici e amiche paterni, diventavano familiari per noi figli e mamma. Non uscì mai del tutto dall’Olivetti, dalla Peripheral alla Olinet, seguì alcune costole, piccine o medie, della grande mamma di Ivrea. Seguirono le avventure in AIDIM, con il principe Pietro di San Felice, in Comufficio, in SMAU e in Confcommercio, con l’allora presidente Sergio Billè e con l’attuale, immarcescibile, Carluccio Sangalli.
Trascorsi i fastidiosi anni dell’adolescenza, con papà, divenimmo anche amici e compagni di avventure. Ci siamo divertiti e riso a crepapelle, sempre con Napoli e la napoletanità nel cuore. Napoli era lui e lui era Napoli, in una simbiosi inscindibile. Una vita trascorsa senza farsi mancare nulla e con eccessi decisamente più appropriati ad un punk che ad un dirigente d’azienda.
A parte gli ultimi anni, con acciacchi più frequenti e perniciosi, se papà doveva tagliarsi i capelli andava a Napoli da Carluciello, il barbiere dei quartieri, dove è nato e cresciuto. E’ rimasto, fino all’ultimo respiro terreno, lo scugnizzo che sempre fu.
Al di là e oltre l’avventura lavorativa e manageriale in Olivetti, chi lo ha conosciuto e frequentato, testimonia ed evidenzia di papà, la simpatia, l’astuzia buona da scugnizzo, la serietà senza mai prendersi sul serio, l’ironia perenne e l’intuito nel trovare soluzioni a qualsivoglia problema o emergenza. Per me, per noi figli, Vittorio era “Wolf, risolvo problemi”, anche senza un suo diretto intervento, bastava sapere che ci fosse per tranquillizzarci. Una persona, una volta gli disse “tu sei troppo per me!”. Quel troppo, così invadente, debordante, presente, brillante e, a volte, ingombrante, ci mancherà tantissimo. Ma da cristiano e francescano so bene che papà, senza l’appesantimento terreno e materiale, se la ride con ancor più leggerezza e, come volle scrivere sulla propria tomba Eduardo Scarpetta, “Qui rido io”.
Grazie di cuore a tutte e tutti per le meravigliose parole spese in ricordo dell’amico Vittorio. Ci hanno dato, se possibile, gioia, conforto e piacere.