di Gianni Di Quattro
Ho vissuto tanto alla Olivetti, ho conosciuto tanta gente ed ho assistito a tanti modi di essere dell’azienda. La Olivetti di Adriano è quella di cui tutti parlano, è quella che raccoglie le riflessioni e le valutazioni di critici, sociologhi, politici, uomini di cultura ed economisti per quello che ha significato nel nostro paese e a livello internazionale, per il modello che ha rappresentato, per l’innovazione che è stata e che ha provocato nel mondo dell’industria, della tecnologia, del design, delle relazioni umane e dell’organizzazione aziendale. Poi ci sono state altre Olivetti, quella di Visentini che ha condizionato vari tentativi di una narrazione aziendale coerente col passato come quelli di Roberto Olivetti e di Ottorino Beltrami e, infine, quella di Carlo De Benedetti, nata grazie peraltro alla decisione dello stesso Bruno Visentini (ha bocciato altre alternative possibili). Quest’ultima è quella che ha accompagnato alla fine l’azienda per mano di alcuni personaggi chiamati dallo stesso De Benedetti a gestire una cosa che (ora lo si può dire con cognizione di causa) era al di fuori del loro valore quando lui, l’ingegnere ex Fiat ed altro, sempre più distratto dai suoi affari, non fu poi più in condizione di condurre in prima persona l’attività (anche per motivi giudiziari) peraltro sempre più ridotta ad un cumulo di macerie da qualsiasi punto di vista si voleva guardare.
E mi sono chiesto, avendo assistito a tutto questo percorso in posizione non di alto livello, non in qualche stanza dei bottoni, ma con la curiosità di vedere e di capire, come devo ricordare la Olivetti che ha riempito la mia vita sul piano professionale, culturale e soprattutto umano.
Gli effetti della visione di Adriano, del suo modo di concepire una impresa, soprattutto se operante in settori di avanguardia, del suo modo di stare nella società, di relazionarsi con il territorio dove operava, del suo modo di concepire la internalizzazione, del suo rapporto con il personale (meglio dire risorse umane come lui diceva e come chiamò per prima nel paese il suo ufficio dedicato a questo compito) si sono mano a mano affievoliti e sono in qualche modo rimasti come effetti eco sino alla gestione di Roberto Olivetti prima e di Ottorino Beltrami dopo e poi sono scomparsi del tutto con la gestione di Carlo De Benedetti.
Ebbene, io ricordo la Olivetti di Adriano, il suo valore non solo come business e come impresa, ma soprattutto il suo significato culturale, politico e sociale. Certo ho visto che Roberto Olivetti e Ottorino Beltrami hanno tentato di rispettare un’idea, hanno provato a non far morire una immagine, a cercare di far vivere una visione originale nel mondo del lavoro di quegli anni, ma ho visto anche come tanti hanno favorito lo scivolamento dell’azienda verso la omologazione. E così che poi Carlo De Benedetti trovò facile cambiare, rimodellare, ristrutturare, cacciare personaggi di rilievo (un esempio per tutti la Bellisario) o domarne altri.
Gli anni di Adriano, l’azienda di Adriano, hanno un valore molto diverso rispetto ad altre esperienze od altre attività similari, soprattutto per un giovane, come io ero a quei tempi, per la sua formazione, per il suo indirizzo culturale mai più cancellato e tuttora vivo anche se distrutto e lontano nel tempo. In fondo per me la Olivetti di Adriano è stata l’educazione alla vita sociale, al modo di capire e di giudicare il mondo, un po’ come è l’educazione familiare per qualsiasi persona che poi si porta questa impronta nella sua vita quale che sia il suo percorso.
Allora io ho il privilegio di ricordare la Olivetti di Adriano ed è quella che ricordo, che voglio ricordare, i suoi valori e la sua capacità di innovazione, i suoi tentativi di ridisegnare il modo di fare impresa, il modo di vivere una impresa, di confrontare la propria cultura e i propri sogni personali con una impresa che aiutava i confronti e non cancellava i sogni.
E ricordo tante persone che sono entrate nel mio patrimonio umano, che hanno aiutato il mio percorso di vita; alcune non ci sono più purtroppo, altre sono scomparse dal mio monitor e non so più dove sono e se ci sono. Per fortuna tanti sono presenti e sono felice di avere il piacere di mantenere con loro il contatto umano, di sentirli, di incontrarli, di sapere che la mia vita non è stata inutile e che la dimostrazione di questa affermazione è convalidata dalle amicizie acquisite. Le amicizie che, come diceva un grande di Spagna (il poeta Machado), valgono più dei beni conquistati e degli anni trascorsi, rappresentano il vero modo di giudicare la propria vita, soprattutto quando questa giunge o si approssima al suo ultimo miglio.
Bravo Gianni,
spesso quando scrivi sembra che scrivi per tutti noi che abbiamo goduto dell’aver lavorato nella Olivetti di Adriano. Grazie.
Un saluto affettuoso, Mario
Come lei sa, un fortuito incontro con Enzo Repossi, mi ha permesso di sentirla al telefono dopo tanti anni e di entrare a far parte del Gruppo. Naturalmente la prima cosa che ho fatto è stata quella di scorrere la lista degli Olivettiani. Purtroppo non sono molti i nomi che conosco. Tanti appartengono alla Olivetti Italia e tanti purtroppo non ci sono più.
Ho letto con piacere le sue riflessioni e anche se sono entrata in Olivetti dopo l’epoca di Adriano, lei ha saputo rendere efficacemente l’atmosfera che si respirava ancora ai tempi del mio ingresso alla fine del “69. In particolare l’articolo dell’aprile scorso con la descrizione dell’indimenticabile Direzione Marketing del sesto piano dove ho fatto i primi passi nel mondo magico della Olivetti e dove mi sono subito inserita fra persone in gamba e simpatiche. Anche il mitico Elserino Piol di cui devo confessare avevo soggezione. Ricordo ancora il giorno in cui ero stata chiamata nel suo ufficio dove Agostinucci aveva portato un distinto signore tedesco per il quale era necessario un interprete, nessuno ci voleva andare e io ultima arrivata ero stata la vittima sacrificale.
E qualche tempo dopo un giro di walzer con lui ad una festa a Talponia. Grazie per avermi accolto
Condivido le riflessioni di Gianni di Quattro anche se ho sperimentato solo quanto rimaneva nel periodo 67 al ’77, ma ho incontrato molte persone che avevano assorbito lo spirito di Adriano ed interpretato ognuno in modo diverso. Ricordo in particolare il CAV (Carlo Andrea Valente) che purtroppo ci ha lasciato un po’ di anni fa.
Gianni
I tuoi scritti ricostruiscono una vita e una eccezione in un mondo grigio incapace di capirla.Non lasciare che questi tuoi scritti si perdano : organizzali in un libro che non solo noi che abbiamo amato e vissuto lAzienda ma anche i posteri sapere di cosa è stata capace l’Italia.
Giorgio