di Gianni Di Quattro
La fine del periodo di studi, la laurea, rappresenta il momento nella vita in cui si smette di pensare ai sogni, di immaginare, di pensare cose che non si possono raggiungere, ma nelle quali la nostra fantasia ha cercato di navigare, per iniziare il percorso della vita, il vero percorso, quello coi sacrifici, il coraggio, il successo e le sconfitte. È il momento della fine dei sogni giovanili e si comincia ad andare.
Così è stato anche per me quando in un lontano anno degli anni 50, quando il paese stava cercando di rimettersi in piedi, ho finito di illudermi, ho ringraziato la mia famiglia, ho festeggiato per qualche giorno con gli amici più vicini, quelli con i quali avevo condiviso le fatiche dello studio e tanta parte della gioventù. Festeggiamenti a Palermo nelle osterie e passando per i luoghi dove tante volte passavamo, come se con gli amici sentivamo che avremmo presto abbandonato quello che avevamo tanto amato insieme con la nostra spensieratezza. Sentivamo un buco nello stomaco a pensare che ci sarebbe toccato emigrare, già la parola ci buttava in una profonda depressione.
Cosa fare, dove lavorare? Io avevo il sogno di fare l’avvocato, durante il periodo universitario tante mattine passavo al tribunale ad assistere a processi penali, sempre quando sapevo che veniva a Palermo qualcuno dei grandi avvocati penalisti per difendere qualcuno o qualcosa, come da quelle parti non era inusuale. Ci ho pensato, ho provato a verificare, ma bisognava impegnarsi per diversi anni senza guadagnare o guadagnando poco, molto poco per avviarsi verso la professione libera. Non potevo permettermelo, la mia famiglia aveva fatto tanti sacrifici per farmi studiare, non potevo chiederle di più, anzi avrei dovuto cercare di dare una mano ora che ero grande e che i miei studi erano finiti.
Ed allora insieme ad un caro amico, Antonio, ci siamo messi a contattare aziende, tutte quelle che potevamo proponendoci. Ed io sono stato fortunato perché mi ha risposto ed ho cominciato i miei contatti con la Olivetti. Anche il mio amico alla fine ha trovato soluzione alla Nestlé. Io avevo sentito parlare, avevo letto e mi ero documentato su Adriano Olivetti perché nella nostra associazione goliardica avevamo preso contatti con “Comunità” ricevendo segnalazioni, riviste, libri, documenti. Sapevo abbastanza su questa esperienza di Olivetti, su Adriano che cercava di far vedere che si poteva fare l’imprenditore in modo diverso. Con attenzione per il territorio, l’ambiente, coltivando bellezza e cultura, considerando il personale una risorsa strategica ed attuando nei suoi confronti politiche innovative sul piano retributivo, assistenziale, culturale e soprattutto umano.
Comunque i miei incontri per l’ingresso in Olivetti sono stati molto importanti per me e sono rimasti nella mia memoria in modo indelebile. Il primo a Roma con Furio Colombo, una persona che non mi aspettavo, mi ha fatto una grande impressione; ascoltava, cortese, colto, interessato in un ambiente straordinario come quello di Piazza di Spagna con la vista su Trinità dei Monti. Ero arrivato a Roma dopo 16 ore circa di viaggio con tanta speranza, avevo trovato una pensione e nei due giorni che ci sono stato giravo per la città, era la prima volta che da solo mi trovavo fuori da Palermo, nel periodo universitario ero uscito tante volte ma sempre con amici in gruppo. Ed ero a Roma solo che vagavo tra meraviglie. Il colloquio con Colombo era andato bene, almeno così mi era parso, e lo stesso mi aveva anticipato che sarei stato chiamato per un secondo incontro. Sono tornato a Palermo felice anche se faticosamente e con la sensazione che stava cominciando la mia vita.
Per il secondo colloquio mi toccò andare a Milano dove non ero mai stato prima. Ho aspettato a lungo la convocazione, non vedevo l’ora, ad un certo punto temevo che si fossero dimenticati o che non ero stato ritenuto idoneo, ma poi arrivò un telegramma e sono partito. Con la Freccia del Sud famosa, 23 ore dirette da Palermo a Milano senza soste in un bagno di umanità incredibile, in mezzo alla gente che andava a lavorare ovunque in Europa, che aveva lasciato famiglie e abitudini per inseguire speranze, che ti offriva il pane e da bere, che ti abbracciavano per farti coraggio. Un viaggio incredibile, indimenticabile, una pietra miliare nel mio percorso di vita.
A Milano sono uscito dalla stazione con davanti la via Vittor Pisani e i suoi palazzi, sulla destra il Pirellone bello, ho cercato una pensione, mi sono rifocillato e sono andato all’appuntamento che avevo per il pomeriggio. Ho preso il tram numero uno per andare a Piazza Scala secondo i suggerimenti ricevuti, continuavo a sentire un odore strano, l’odore di Milano, un po’ di bollito e un po’ di gomma bruciata, era settembre, il cielo era grigio e basso, l’orizzonte non si vedeva, la gente correva, avevi l’impressione che nessuno guardava nessuno.
Sono arrivato al palazzo Olivetti di Via Clerici e sono entrato con l’aria timida presentandomi ad un portiere con l’aria di attore hollywoodiano che mi indirizzò ad un ascensore dicendo di schiacciare il secondo piano, una segretaria mi avrebbe prelevato all’arrivo. Quel portiere era Giusti, dopo siamo diventati amici, era molto simpatico, per niente austero e un campione di milanesità. Al secondo piano c’era una ragazza carina e gentile che mi ha ricevuto, la segretaria di Umberto Soliani il capo del personale della Divisione Italia come ebbi modo di scoprire dopo, mi ha fatto accomodare in un salottino con un paio di comode poltrone e pieno di riviste e di giornali. Ho atteso poco e sono stato accompagnato da Ottiero Ottieri, del quale avevo per puro caso letto Donnarumma all’assalto poco prima del contatto con Olivetti.
La stanza di Ottieri dava sul cortile, la luce era scarsa, c’erano delle piante che dovevano carezzare l’aria pesante, le pareti erano piene di quadri colorati, sulla scrivania matite colorate e libri. Abbiamo parlato per quasi due ore seduti uno di fronte all’altro, di tutto con l’aria di confessarci cose e verificare le nostre opinioni, ogni tanto qualche silenzio rompeva le nostre voci, ci alzavamo per andare alla finestra e guardare il grigiore. Alla fine di una intesa umana fantastica almeno da parte mia ci siamo salutati e sono stato prelevato da Umberto Soliani, il quale mi ha detto che venendo io da Palermo e allo scopo di non farmi rifare questo lungo viaggio mi invitava ad avere pazienza ed aspettare per incontrare il dott. Ugo Galassi, che era il direttore commerciale della Italia ed a cui spettava la parola definitiva sulla mia situazione. Non c’era problema dissi ovviamente, mi sono accomodato nel solito salottino ed ho aspettato, sino alle 19 e poi sono stato ricevuto dal grande capo verso cui tutti, ma proprio tutti, dimostravano grande attenzione.
Galassi mi ricevette in maniche di camicia, con il sigaro in bocca, un uomo tarchiato ma con l’aria robusta, abbronzato, con gli occhiali, mi fece accomodare, mi guardò in silenzio per un minuto, guardò Soliani che si era seduto al mio fianco, poi mi disse: se lei fosse il capo di una azienda che vende botti e guadagna bene e i suoi clienti sono contenti, ma viene un suo collaboratore, ingegnere, che le propone di spostare la posizione del rubinetto delle botti per consentire di poterne trasportare di più con lo stesso carico e quindi di guadagnare di più, lei aderisce alla proposta, ma ad un certo punto i clienti cominciano a diradare gli ordini lei cosa farebbe?
Io, precipitato nel panico, non avevo la benché minima idea di cosa si doveva fare ed allora sentendomi perso ed avendo pensato che purtroppo stavo perdendo la opportunità cui tanto tenevo, dissi quasi con l’aria scocciata che sarei andato a chiederlo ai clienti perché non compravano più come prima. Galassi stette un attimo in silenzio, mi guardò, sorrise e mi disse: esatto proprio come farei io. Poi rivolgendosi verso Soliani disse, questo per me va bene, ci pensi lei e mi porse la mano per salutarmi dicendo allo stesso tempo benvenuto.
Sono uscito da Via Clerici felice, Soliani mi aveva detto che avrei ricevuto la lettera di assunzione per posta e istruzioni sulla data e il luogo dove presentarmi successivamente, avrei comunque iniziato con un corso di prima formazione a Firenze. Andai in pensione, telefonai a casa dicendo che era andata bene, uscii per mangiare qualcosa in una latteria; avevo fame, sul treno avevo esaurito le scorte che mi aveva dato la mia mamma, mangiai con tanto appetito la cotoletta con patate, andai a letto. L’indomani mattina mi aspettava la mia Freccia del Sud con un percorso inverso a quello appena fatto.
Passai una notte tranquilla piena di sogni belli, andai alla stazione e presi il treno, la Olivetti mi aveva rimborsato il biglietto e pagato una diaria che mi copriva tutte le spese. Il viaggio fu più lungo di quello dell’andata nella mia impressione, ma fu sereno, senza preoccupazione, non vedevo l’ora di riabbracciare i miei, c’era meno gente dell’andata, mi comprai un cestino da viaggio alla stazione di Bologna e pisolai sino a Palermo. Per la verità continuavo a girare nella mia testa la situazione, avevo un lavoro, dovevo emigrare, cominciava davvero la mia vita, dovevo lasciare famiglia e amici e gli occhi mi si gonfiavano di lacrime, non sapevo se ce l’avrei fatta. E il treno correva, mentre i compagni di viaggio non parlavano, immersi anche loro nei loro pensieri. Ed io pensavo a cosa mi avrebbe riservato la vita.
Bravo Gianni: una più bella dell’altra!