di Gianni Di Quattro
La trattativa era di Peppino a Roma e riguardava un importante ente statale, un prestigioso ente per cui la trattativa era interessante perché poteva avere un effetto eco sul mercato al di là del valore della fornitura stessa. Riguardava questa trattativa un Elea 6001, il fratello minore dell’Elea 9003, un elaboratore scientifico nella sua struttura, nelle sue dimensioni, nel suo software e che naturalmente aveva come principale concorrente un prodotto IBM e cioè il 1620. Anche se poi fu anche presentato per applicazioni commerciali dopo che in una notte di lavoro Elserino Piol si inventò appunto la versione commerciale per fare una offerta alla Pirelli.
Il mio amico Peppino era molto bravo, la trattativa era stata condotta con grande abilità ed era arrivata al punto definitivo. Peppino si era giocato tutto, gli aspetti tecnici, l’assistenza, l’italianità, il valore per questo ente di aprire una strada nel nostro paese, tutto insomma. Io avevo fatto poco se non dargli una piccola mano perché il decisore di questo ente romano era un mio corregionale ed avevamo in comune alcuni amici e queste cose in Sicilia contano perché ci si fida di chi è un amico o un amico di amici purtroppo non solo nel bene ma anche nel male.
Insomma, il decisore pareva ben orientato nei nostri confronti ma il suo consiglio di amministrazione, i suoi capi gli chiesero se lui in pratica avesse mai visto la macchina funzionare e alcuni programmi di interesse girare in concreto. Al suo diniego gli chiesero di fare questa ulteriore verifica e cioè di andare a Milano, meglio a Borgolombardo dove c’era il laboratorio di ricerca e la produzione della elettronica Olivetti (quando ancora il termine informatica non era stato inventato e si chiamava elettronica per distinguersi dalle macchine elettromeccaniche), per vedere la macchina e compiere un esame dettagliato come propedeutico alla scelta finale.
Fu fissata la visita a Borgolombardo del cliente e la sera antecedente del giorno fissato io e Peppino siamo andati in albergo a prendere il nostro ospite prezioso per andare a cena. Con Peppino avevamo deciso di andare in un posto diverso, insomma di tentare di impressionare questo cliente con cui ormai c’era una buona familiarità e che chiameremo Nino.
Andammo all’Olimpia, un locale che imitava il Lido di Parigi, spettacolo con ballerine compreso, che c’era a Piazza Castello a Milano, dove ora c’è un supermercato come succede in questo mondo sempre meno attento alla fantasia e molto di più al consumo di cose, la nuova forma di espressione del capitalismo, quella più deteriore come aveva capito ante litteram Pasolini.
Allora una cena fantastica in mezzo a velluti blu, mentre gli spettacoli si susseguivano e l’alcol nelle sue varie forme pure. Una serata di stampo parigino in una Milano che viveva molto di sera una volta, uno spettacolo unico, il piacere di condividere buone cose e speranze, una amicizia che si scopriva sempre più interessante tra i commensali, i discorsi che correvano e che affrontavano la vita (eravamo giovani con un percorso ancora tutto da fare), la bellezza che vedevamo e che continuava a piacerci molto, le decisioni che qualcuno doveva prendere e di cui non bisognava esagerare. Avevamo messo a fuoco le cose che contavano tra di noi, il resto aveva meno importanza.
Ci siamo alzati dopo diverse ore e le gambe non erano stabili, ma ci era piaciuto tutto e siamo riusciti ad arrivare ai taxi, ad accompagnare il nostro ospite e a lasciarci io e Peppino con la certezza di aver fatto bene il nostro lavoro ed inoltre in un contesto che non era male, proprio non era male e vale la pena ribadirlo.
Il giorno dopo siamo andati al mattino a prendere il nostro ospite, era già sceso dalla sua camera e stava scrivendo, ci ha detto che stava completando la sua relazione a nostro favore e che non c’era bisogno di andare da nessuna parte e forse potevamo riposare in albergo tra un cappuccino e una brioche per riequilibrare il nostro metabolismo. Così è stato, abbiamo passato una mattinata di riposo e di chiacchiere e poi un pranzo leggero ed io e Peppino abbiamo accompagnato nel primo pomeriggio al treno per Roma il nostro nuovo amico. Siamo andati in ufficio per vedere che era successo trascinandoci e dicendoci che il lavoro che facevamo spesso ci piaceva davvero. Qualche giorno dopo arrivò l’ordine del 6001 che confermava tutti i nostri pensieri.
Caro Gianni, questo non mi è sembrata una trattativa molto professionale. Mancava la coperta ……..e poi era completa!!!
Caro Di Quattro, il tuo racconto mi ha portato alla memoria le tante belle e appassionanti trattative condotte con clienti più disparati. Nel 1988 Massimo Tarantino e Pino Longo mi vollero direttore di filiale a Genova, era la mia prima nomina, per risollevare quell’area dopo la caduta a picco (-70% del fatturto) a seguito delle diverse crisi che avevano colpito il tessuto industriale ligure. Tra i diversi importanti storici clienti della filiale (Elsag, Ansaldo, Italsider,..) c’era un’azienda, l’Italimpianti, nella quale non entrava un spillo che non fosse a strisce bianche e blu! Seppi però che stavano per sostutuire l’intero parco PC, e, non so come, ottenni un incontro con il direttore IT e, per combinazione, in quei giorni stavamo diramando gli inviti per l’annuale convention con i clienti e così gli proposi di partecipare e, inaspettatamente, accettò.
Venne quindi a Taormina, dove tra eventi, conferenze (mi pare guest speaker fu Luttwak), sere di gala e gite, passammo tre giorni piacevoli. Di fatto però,quasi non riuscii ad incontrarlo, era molto riservato, stava sempre con la moglie, e mi rammaricai di non essere riuscito a…cucinarlo a dovere. A mala pena alla partenza riuscii a ipotizzare un incontro al nostro rientro.
Ebbene, non feci neppure in tempo a fissare l’incontro che pochi giorni dopo arrivò un ordine per 300 PC 386…Mai trattativa fu così facile.