di Gianni Di Quattro
Ci sono dei luoghi, delle città che accumulano negli anni un fascino incredibile. Per come sono fatte, per il ruolo che hanno avuto non a caso nella storia di un paese o di un continente, per i locali che si trovano, per la gente che ci vive, per la classe e l’eleganza che si percepisce e che viene da lontano, per l’aria che si respira. Questo fascino arriva immediatamente, rimane attaccato, è indimenticabile. Torino è così, bella, affascinante, elegante, misteriosa, protagonista sempre.
La conoscevo poco ma ci andavo sempre con grande piacere, il pensiero di andarci a vivere e di lavorarci mi procurava una grande emozione. Ero fiero di essere il responsabile della struttura della Olivetti in una città, in un luogo, vicino ad Ivrea, dove Camillo, il fondatore, andava in bicicletta a vendere le sue macchine per scrivere e che aveva conosciuto i più importanti personaggi nella storia dell’azienda. A Torino c’era la Fiat, la più grande azienda italiana con tutte le sue articolazioni, importanti banche, un interessante tessuto e cultura industriale, una tradizione di grande significato per la Olivetti. A Torino c’era anche una situazione politica molto critica, con movimenti eversivi provenienti dal mondo sindacale operaio di grande delicatezza.
L’Area di Torino aveva due filiali grandi clienti affidate a Luciano Danna e a Sergio Bonapace (l’amico Sergio, quello di sempre) e tre filiali territoriali che avevano competenza sul territorio diviso in tre parti e con esclusione appunto dei grandi clienti. C’era un centro di sviluppo software ed avviamento impianti con Luigi Bocchino, una bella officina per la manutenzione tecnica degli apparati e una solida struttura amministrativa.
Sistemato in un residence in via Susa, una traversa di Corso Inghilterra, ho cominciato a lavorare. Avevo un grande vantaggio e cioè con Luciano Danna ci conoscevamo da tanti anni e fra noi c’era sempre stato molto rispetto e simpatia, avevamo persino fatto un viaggio insieme negli Stati Uniti per visitare alcuni importanti clienti inviati con altri colleghi da Guido Lorenzotti quando alcuni anni prima aveva sostituito Ugo Galassi alla direzione della divisione Italia. È stato facile quindi impostare una collaborazione con Luciano, persona di grande generosità con coloro che gli andavano a genio e molto distaccato con coloro che invece erano lontani da lui. Abbiamo fatto insieme davvero un buon lavoro. E poi con Sergio Bonapace avevo il vantaggio di una sincera amicizia ed anche con lui siamo riusciti a fare cose interessanti e importanti. Con le altri filiali il lavoro era prevalentemente organizzativo e strategico, c’erano problemi sindacali tesi anche esasperati dal mio predecessore. Non è stato facile trovare la quadra con la Commissione interna (il capo, durissimo, era un certo Lucano, un ragazzo molto sveglio che quando lasciò la Filiale, per suoi problemi di vita, mi ha invitato a pranzo, una specie di onore delle armi che io ho gradito molto), non è stato facile con i tre direttori trovare un altro ritmo e cambiare la strategia sui prodotti e sulle trattative. È stato un grande lavoro, forse uno dei miei migliori in azienda, vario, complesso, difficile, fatto insieme a tutti, innovativo.
Intanto mi sono goduto Torino, splendida. I suoi raffinati ristoranti come il Cambio, il Caval ‘d Brons in Piazza San Carlo, da Ferrero, il Gatto Nero, per fare qualche esempio, ma a Torino quasi dovunque il cibo è raffinatezza, piacere, cultura. Si mangiava benissimo anche nelle osterie e in tantissimi locali, con gli amici andavamo alla scoperta dei classici e degli ambienti caratteristici. Poi in estate c’erano i murazzi che a quei tempi erano bellissimi (oggi sono purtroppo impraticabili), con alcuni locali al livello del fiume dove si potevano passare le serate a discutere godendo del fresco, dell’ambiente e, naturalmente, del cibo. E c’era la collina piena di posti belli e di grande gradevolezza.
Ma Torino era piena di cose e di persone interessanti. Anche il momento politico era interessante, alla Regione c’era il Presidente Aldo Viglione, un cuneese, socialista, avvocato, un uomo pratico che riuscì a smuovere tanti ostacoli, una persona con un carattere difficile ma l’erede legittimo di un gentiluomo piemontese. Al Comune c’era un raffinato intellettuale, il sindaco Diego Novelli, comunista, un uomo colto e di grande valore umano, con il quale avevamo un dialogo aperto e di grande visione. Ma in quell’epoca a Torino si è svolto il congresso del partito socialista che nominò Bettino Craxi segretario, dando inizio ad una svolta nella politica italiana. E c’erano le brigate rosse, il primo nucleo dei carabinieri anti terrorismo alla caserma Pastrengo, l’assassinio di Carlo Casalegno, vicedirettore di La Stampa e di Carlo Ghiglieno, dirigente Fiat ed ex dirigente Olivetti che si era trasferito in Fiat al seguito di Nicola Tufarelli. Quest’ultimo episodio aveva fatto molto scalpore, lasciando nel terrore tanta gente.
A Torino presso la Cassa di Risparmio c’era come vicepresidente Nerio Nesi, direttore finanziario della Olivetti ai tempi di Adriano, un personaggio, socialista di sinistra, che poi fu anche ministro dell’industria e presidente della BNL, da cui dovette dimettersi in seguito al famoso scandalo di Atlanta. C’era Tarcisio Zucca, un ingegnere marchigiano, intelligente, preparato, carattere spigoloso, generoso e simpatico, era il responsabile della informatica del gruppo Fiat (aveva sostituito Lionello Cantoni), è stata bella la nostra amicizia sino alla sua prematura scomparsa, c’era Pietro Giribaldi, altro amico della Cassa di Risparmio poi passato alla BNL, dove mi ha chiesto di dargli una mano per avviare la gestione della Multiservizi. Ma c’era Luigi Floridia alla Rai, eravamo entrambi della provincia di Ragusa ed eravamo stati anche insieme alle elementari, con lui lavorava un altro amico Giliberto. C’era Riccardo Felicioli, ex Olivetti ed interessante uomo di cultura e di comunicazione, alla Iveco.
Molti personaggi di rilievo, come del resto in Olivetti, ricordo Gino Civiero, siamo in contatto ancora, Piero Pinna, Angelo Delfino, un grande e affettuoso amico che gestiva il personale, che poi ha fatto una brillante carriera a livello nazionale al di fuori di Olivetti, assolutamente meritata, Luigi Bocchino, una persona intelligente e preparata, umanamente molto simpatica, pieno di ironia e amante della vita, ha fatto dopo anche lui una brillante carriera arrivando ai vertici della organizzazione italiana, siamo rimasti in contatto per tanto tempo anche se poi le comunicazioni si sono interrotte senza mai capire il perché come succede quando cade la linea del telefono e non si sa perché.
In breve, Torino mi è rimasta nel cuore e quando ne comincio a parlare non vorrei mai smettere. Quello che mi preme sottolineare è cercare di far capire la strana atmosfera che si respirava, un’atmosfera cupa per il terrorismo, le crisi e i problemi sociali e pur tuttavia affrontati dalla città, grazie al suo management e alla sua gente, con grande fermezza, signorilità e intelligenza. Forse nel suo complesso Torino è riuscita a superare tutto questo periodo (erano gli anni 70 verso la fine) come neanche Milano che pure è stata martoriata di più e dove però i contrasti sono stati maggiori, dove forse è mancata la stessa tenacia e compattezza della grande città piemontese.
Quando si nomina Olivetti, la prima città che viene in mente è Ivrea, il centro nevralgico del Canavese con le sue numerose fabbriche e i tantissimi edifici che ancor oggi qualificano lo “stile” Olivetti. Se ne è parlato molto quest’anno, a seguito della nomina di Ivrea a Città Industriale del XX secolo (UNESCO).
Nel corso della sua lunga storia il nome Olivetti si è diffuso come una grande ragnatela sui cinque continenti: fabbriche, filiali commerciali, centri di assistenza tecnica, strutture di formazione, centri di ricerca e sviluppo, iniziative culturali. “Uomini” Olivetti sono cresciuti in giro per il mondo, integrandosi nel tessuto locale ovunque si trovassero.
Mi auguro che questa bella testimonianza dell’amico Gianni stimoli altri colleghi a condividere i loro ricordi fra lavoro e vita sociale. Ci sono state sicuramente persone di Ivrea che non hanno mai conosciuto l’Olivetti nel mondo, come ci sono stati colleghi del mondo che hanno conosciuto Ivrea solamente per qualche giorno. Ma per la grande maggioranza di noi, progettisti, tecnici o commerciali che fossimo, ci sono molti luoghi del mondo che sono rimasti nel cuore.
Cari amici Gianni e Mauro,
per me, avanti negli anni, leggervi è sempre un’emozione.
Certo Torino è una città eccezionale, ma Ivrea, con la sua semplice vita di cittadina di provincia sulla quale dominava il Palazzo Uffici della Olivetti e le sue fabbriche, è rimasta nel cuore per quella atmosfera umana che vi abbiamo respirato noi che qui abbiamo lavorato per mesi o per anni. All’inizio degli anni Sessanta, lì ad Ivrea, con la supervisione di Elserino Piol, avevo la responsabilità dell’ufficio studi che si occupava della Programma 101 ed eravamo consapevoli di essere proiettati verso il futuro. Poi, Adriano Olivetti mancava già da qualche anno, siamo stati sommersi.
Leggo con molto rispetto le opinioni e le esperienze citate da Gianni Di Quattro e altri che hanno condiviso anni in Olivetti. Prima di parlare di Olivetti vorrei esprimere la mia visione di Torino, vista da un milanese. A differenza di Gianni ho sempre visto Torino come una città vecchia, più nella sensazione provata a passarci rapidamente che nella esperienza vissuta, non avendoci abitato. Un contesto cresciuto per decine di anni sotto la “monarchia” di una delle più vergognose famiglie di re-imprenditori italiani, gli Agnelli. Sul piano personale ho sperimentato sulla mia pelle quel detto (“torinese falso e cortese”) che ho trovato spesso valido anche negli anni passati in Olivetti. A proposito di Olivetti, mentre ricordo con piacere l’esperienza vissuta negli anni ’70 nel Marketing Centrale Sistemi, dove Massimo Samaja si dimostrava sempre attento e consapevole del lavoro dei suoi, non posso che ricordare con ben diversa sensazione gli anni che seguirono, dove l’impegno era più misurato sulla base di relazioni e favori che avevano riferimento a Ivrea, compresi alcuni dei nomi citati. Così dopo il totale contributo a far decollare in molti Paesi il TC800, ho pagato il mio prezzo (tra cui la dirigenza, arrivata con anni di ritardo) a favore di chi badava più ai rapporti con le persone “giuste”. Visto che il tema era Torino non voglio insistere sulla esperienza Olivetti, ma se qualcuno vorrà dettagli….sono qua’!
Leggere queste storie, commenti, considerazioni … è veramente un piacere e soprattutto fa crescere le mie informazioni su persone e fatti con cui fino al 2004 ho convissuto, senza sapere tutti questi dettagli. Ero giovane, in crescita, ma lontano dalle poltrone di Gianni Di Quattro, di Luigi Bocchino, di Angelo Delfino, di Giribaldi e Cantoni (gli ultimi due conosciuti quando entrai, dopo gli anni di Ivrea, in Divisione Italia Finanza, le banche per interderci, erano “nostri” clienti) … è stato ed è un vero onore essere cresciuto in cultura e professionalità con persone come queste e tante altre qui non citate. Buona domenica-
Caro Mario
Sono passati tanti anni da quando lavoravamo insieme alla filiale finanza di Roma e sono passati ancora più anni da quando molto giovane (24 anni) entrai a far parte della famiglia Olivetti ad Ivrea.
Ricordo con commozione il Dr Luigi Bocchino con il quale ebbi il mio colloquio dopo il quale fui assunta al mktg centrale andando a lavorare con Angelo Vigneri.
È stato un piacere leggere questi ricordi.
Anche se ho cambiato tanti lavori (tutti in P.A) Olivetti mi è rimasta sempre nel cuore
Un così vibrante e appassionato ricordo di Olivetti e di Torino come quello di Gianni stimola commenti, sensazioni, ricordi.
Io non ho ricordi particolari di Torino, città alla quale sono comunque affezionato perché i miei vi hanno abitato per un certo tempo e non di rado io e mia moglie, ai tempi di Ivrea, affidavamo loro i bambini. Ho quindi avuto modo di frequentarla, ma non al punto di farmene un’idea precisa.
A Roberto posso solo dire che i “piemuntèis faus e curtèis” , secondo la mia esperienza, mostrano a volte, dietro una scorza indubbiamente da penetrare, un’anima calda e amichevole. Tra le più toccanti testimonianze di commiato che ho ricevuto quando sono andato in pensione c’è una lettera scritta da un caro collega ed amico eporediese doc, che conservo e non potrò dimenticare.
Le persone citate da Gianni risvegliano in me tanti ricordi: le ho conosciute quasi tutte, anche se in un’epoca diversa da quella di cui parla Gianni. Ne aggiungerei una: Ughetto (non ricordo il nome di battesimo), direttore di una qualche filiale di Torino (OSN o Office, non ricordo). Quando lo chiamavo sul numero privato per qualche questione di lavoro, lui rispondeva sistematicamente e professionalmente: “Pronto Ughetto” e io, che mi chiamo Ugo, gli rispondevo invariabilmente di… andare da qualche parte che dicevo io.
Per quanto mi riguarda, a Milano mi sono sempre trovato bene (ho vissuto via Clerici, Via Meravigli/via Camperio, via Caldera, Lorenteggio, anche se ho molto sofferto la vita di pendolare risiedendo a Monza.
Tuttavia un pezzo di cuore l’ho lasciato a Ivrea, dove ho ancora qualche amicizia per la verità poco frequentata. Ha Ivrea ho vissuto i primi 4 anni dopo l’assunzione, poi per oltre 20 anni sono stato a Milano pur appartenendo a una struttura “centrale” eporediese quale l’Ufficio Stampa. A Milano del resto c’erano molti uffici della Direzione di Renzo Zorzi, oltre che la Divisione Italia, della quale in particolare mi occupavo. Andavo a Ivrea almeno due volte alla settimana.
Poi ho soggiornato a Ivrea, in “esilio” da Milano/Monza, per due anni non consecutivi, e infine sono rientrato a Milano nel 1997 o giù di lì.
Bene, ripeto, al territorio canavesano mi sono affezionato e quando posso ci torno. volentieri.
Congratulations and thanks to Gianni di Quattro for his highly evocative piece on Torino, a city that I believe receives too little attention by those planning a trip to Italy.
I did not know the majority of people named in the article. The exception is Luigi Bocchino with whom I worked during the M20 days – one of his favourite questions: “What do you think to this problem, Price?”. Nor was I familiar with the local politics and labour relations, but the picture he painted immediately took me back to my arrival there in 1980.
I had been assigned to a five-week, one-on-one total immersion course in preparation for my new role in international commercial support in Ivrea. It was a fascinating experience and extremely hard work for a 35-year old. On the day of my arrival, one of the tutors explained the school – “Here is the toilet; here is the timetable; here are the expectations. That is the last time we will speak English.” And it was. So, I learned Italian, I suppose, as a child learns to speak: “La porta e aperta. Perfavore, chiudi la porta.”, accompanied by a physical demonstration of opening and closing the door.
The long separation from my family was difficult but my loneliness in a strange city was tempered by strolling the piazzas and colonnaded boulevards of Torino in the evening, marvelling at the visual feast of the city’s architecture. And I soon became a Bar Zucca regular for my lunchtime tramezzini and espresso. (Any subsequent visit to Torino over the intervening 40 years, featured a visit to Bar Zucca.)
Some weeks later, the family and I moved into a rented villa in collina near Revigliasco and my children enrolled at the International School near Pecetto.
Highlights of those times, especially guiding visitors, include:
• Piazza San Carlo, Piazza Castello, Palazzo Reale
• Mole Antonelliana and Museo Egizio
• Mercato di Porta Palazzo
• Piazza Vittorio Veneto and Villa della Regina
• Basilica di Superga and the spectacular views
Other memories:
• My daily commute on A4 to Ivrea would occasionally feature De Benedetti’s motorcade sweeping past me at maybe 200km/h.
• The fabulous view of the Alps from our patio
• Adopting a foundling German Shepherd as our guard dog and it eating my landlady’s chickens
• Driving past the Agnelli residence as armed guards pointed weapons at our car
• Carnevale in Ivrea and La Battaglia delle Aranci
Two years later, Olivetti transferred us to Canada but our sojourn in Torino remains one of the fondest memories of our lives.
Caro Gianni, la lettura del tuo articolo su Torino, la mia città, e le citazioni di uomini e fatti in qualche modo strettamente legati alla mia personale storia professionale e umana mi ha commosso e ha fatto emergere dal mio profondo sensazioni ed emozioni ormai lontane nel tempo.
Già le prime righe del tuo articolo proiettano una immagine di Torino profondamente vera. Poi leggo delle attività della Olivetti in quegli anni che indovino essere gli ultimi del decennio 1970 e successivi. Ed è qui che comincio ad emozionarmi: io all’epoca ero in IBM Italia, presso la Filiale di Torino, e facevo il “sales man” su grandi Clienti. La Fiat era il mio unico cliente, e quindi l’ing. Tarcisio Zucca era la mia controparte. La Filiale IBM era diretta da Di Trapani, che passò all’Olivetti di Ivrea con grande sorpresa di tutto il nostro ambiente. Altri nomi mi suonano ben conosciuti, come l’ing. Giribaldi della Cassa di Risparmio.
In quel tempo la IBM dominava a livello planetario il mercato dei “Main Frame” ovvero dei computer ad alte prestazioni. In quei tempi alcune aziende concorrenti, prima americane e poi giapponesi, cominciarono ad attaccare l’IBM sui suoi standard, costruendo e presentando al mercato unità periferiche (nastri e dischi) “compatibili” e in seguito anche terminali (video, stampanti). Più tardi anche l’Olivetti decise di adottare quella strategia sui personal Computer e lanciò sul mercato con grande successo l’ M24.
Io ero in carriera in IBM, e apprezzato dai miei diretti superiori. Cominciavo però ad avere in sofferenza l’aria che si respirava in quella enorme multinazionale, dove tutto era previsto, codificato, supportato da metodi rigidi e inflessibili. Non si poteva discutere, provare, inventare. Tutto veniva dall’alto. E infatti una delle cose che mi capitò era che, nominato “capo S.E.” ovvero capo di una unità di “System Engineers”, dovevo, come volevano le regole codificate, cambiare città.
Accettai di lasciare Torino e mi ritrovai a fare il capo S.E. nella filale media industria di Milano. Era il 1° gennaio 1980. Sapevo che il mio salto di carriera nella logica della IBM era un fatto premiante, ma non mandai giù il mio trasferimento, perché secondo la mia logica, ritenevo un grave errore sprecare tutta la conoscenza che avevo acquisito sul mercato Torinese.
Già da qualche tempo l’ing. Pedretti aveva lasciato l’IBM per l’Olivetti, dove gli avevano affidato lo sviluppo e la Direzione della neo-nata Olivetti Computers S.p.a. che importava e distribuiva con i supporti tecnici e sistemistici i “Main Frames” compatibili IBM prodotti dalla IPL americana e dalla Hitachi giapponese. Per costruire la struttura, cercava personale commerciale e tecnico esperto e con provata conoscenza del mercato. Come è comprensibile l’IBM stessa era una miniera di quel tipo di personale.
Fu così che l’ing. Di Trapani si ricordò di me e mi contattò proponendomi di passare alla Olivetti. Nel frattempo un altro alto Dirigente IBM, l’ing. Uboldi De Capei, fu acquisito con la carica di Direttore Operativo della Olivetti Computers S.p.a. ed ebbi anche con lui alcuni colloqui che mi convinsero. Trattai il mio ingresso nell’azienda con Angelo Delfino, mi fece una proposta economicamente molto allettante e al 1° giugno 1980 lasciai l’IBM ed entrai nel mondo Olivetti tornando nella mia amata Torino (non avevo ancora trasferito la famiglia in attesa della fine del periodo scolastico). Nella filiale di Torino, diretta dal dott. Emilio Cornagliotti, tornai a fare il “sales man”, ma in modo completamente diverso rispetto al mondo IBM: qua non c’era assolutamente nulla di previsto, codificato, supportato da metodi più o meno inflessibili. Qui dovevi fare tutto di tua iniziativa, secondo i modi e i tempi che tu ritenevi più idonei e corretti o semplicemente quelli che eri capace di inventare, impostare e fare.
Cominciai così la mia carriera in Olivetti e ricoprii diversi ruoli, che tu forse conosci e ricordi, e che mi hanno costretto a fasi alterne a lasciare Torino per finire nel 1992 alla direzione della SEVA S.p.a., che tu stesso hai diretto per parecchi anni.
Non ho mai spostato però la mia famiglia da Torino, dove ho sempre fatto ritorno ogni fine settimana.
Quando nel 1995, a seguito della ristrutturazione dell’Olivetti con la nascita di Olivetti Telemedia e la revisione strategica dell’intero Gruppo, non c’era più spazio per me (riportavo a Marco De Benedetti formalmente, ma operativamente a Elserino Piol) e trattai la mia uscita con Celli e Adorni e il mio rapporto con l’Olivetti ebbe termine il 31 dicembre di quell’anno.
Così tornai nella mia amata Torino e decisi di non cercare un nuovo lavoro in qualche altra grande Azienda, ma di fare l’imprenditore e fondare una mia Società di servizi informatici. Nacque così la Teleservizi S.r.l., che oggi ancora dirigo e che mi ha permesso di non lasciare più questa splendida città.
Grazie Gianni!
Considero la tua Torino come uno stimolo (direi un format) opportuno e necessario per raccogliere le descrizioni degli ‘stabilimenti’ (era il nome delle Filiali nei tabulati di Ivrea) dove, all’età di 20-25 anni, la gran parte di noi ha cominciato a lavorare.
In questo modo si potrà accumulare un patrimonio di conoscenze utile per altre elaborazioni.
Ai ‘ricordi fra lavoro e vita sociale’ suggeriti da Mauro, propongo un’integrazione con riflessioni sui clienti che hanno partecipato a rassegne, incontri negli show room di Filiale, visite a Ivrea, studiato nelle aule attrezzate con macchine Olivetti ,partecipato a Mostre, Convegni ecc…’
Lo spunto l’abbiamo avuto , partecipando con Paolo Rebaudengo, Alessandro Chili e altri amici di Olivettiana.it , come organizzatori e relatori alla terza giornata del Convegno internazionale di studi ‘Identità Olivetti: Spazi e linguaggi (1933-1983), svolta a Bologna il 14 dicembre 2019 a cura dei dipartimenti di architettura delle Università di Ferrara, Venezia e Scuola Ecal di Losanna (nel comitato scientifico anche la Fondazione e l’Archivio storico Olivetti)
Il Convegno coinvolgeva ,con approccio interdisciplinare, studiose e studiosi (quasi quaranta)… ‘sugli spazi (negozi, allestimenti commerciali mostre) e sui linguaggi (la comunicazione visiva, il design dell’interazione, le attività formative, culturali e commerciali)’.
Una realtà che ‘resta largamente inesplorata e non è stata oggetto di uno studio specifico’. Gli atti, rallentati dal Covid ma pubblicati probabilmente entro l’anno prossimo, saranno l’occasione per condividere una delle più straordinarie esperienze nella storia del lavoro del Novecento.
Galileo Dallolio (Filiale di Bologna dal 1960 al 1968, Via Clerici ecc. dal 1968 al 1991, area del personale e marketing)
Solo per dire che, quando più colleghi si uniscono in coro, i ricordi riaffiorano. Così accuso (gradita) ricevuta di nomi che non avevo citato: Bocchino, Pedretti, Cornagliotti, Vigneri, Celli, Adorni, Marco De Benedetti, Di Trapani e, dalla parte “avversa”, il leggendario Tarcisio Zucca, cui fui introdotto da Luciano Danna, filiale sistemi TO, probabilmente in una delle occasioni di racconto alla stampa di qualche applicazione